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Piano Concerto - Forum pianoforte

Il revisore, questo sconosciuto


Pablo
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Stai praticamente dicendo che un settore lavorativo è nato nonostante sia inutile.

Quando è nato però non esistevano filologia e musicologia.

 

I settori lavorativi nascono sempre per delle esigenze, se non ce ne fosse stato bisogno non sarebbero affatto esistiti.

E' vero, per magari le esigenze cambiano...pensa allo stile galante.

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Da appassionato pianista (e non interprete :rolleyes: ) posso confermare che una versione diteggiata e rivista può essere un aiuto. Il topic però mi ha fatto riflettere molto, grazie all'autore del topic stesso, io ricorro a questo sistema perchè non ho altri mezzi:

- non ho la conoscenza

- non ho un maestro dal quale attingere

 

Se uno avesse i mezzi...sarebbe bello fare l'interprete..ohimè, sono solo un "pianista".

 

Ottima riflessione, Gianni.

 

Quale formazione dovrebbe avere un interprete? Come maturare la capacità di dire la propria su un'opera? Anche inedita?

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Quale formazione dovrebbe avere un interprete? Come maturare la capacità di dire la propria su un'opera? Anche inedita?

 

Ottimo spunto, davvero. E se riusciamo ad andare avanti su questo binario si può riuscire a chiarire anche il ruolo importantissimo delle revisioni critiche e la differenza con le altre.

 

Ritengo fondamentale, per "poter dire la propria" su un pezzo, la familiarità con il lavoro dell'autore di quel pezzo. Che sia edito o inedito, il discorso è lo stesso, a mio parere, ovvero: quanto più io conosco di quell'autore, tanti più elementi avrò per affrontarne il lavoro. Un amico direttore agli inizi degli studi, tempo fa, mi chiese quale sinfonia di Beethoven, secondo me, lui dovesse studiare. Gli risposi che cominciasse da quella che voleva, tanto bisogna saperle tutte! Ovviamente il mio discorso era paradossale: iniziare dalla Nona sarebbe stato una sciocchezza, soprattutto perché, per capire a fondo la grandezza di quella sinfonia, comunque, è necessario conoscere quello che Beethoven ha scritto prima. È naturale, quindi, che il discorso non è solo ed esclusivamente finalizzato all'esecuzione: io posso anche decidere di dirigere in pubblico solo alcuni pezzi, ma per comprendere a fondo quei pezzi, devo conoscere anche gli altri.*

 

Parlavo di "familiarità con il lavoro dell'autore" ed è proprio qui che entra in gioco il lavoro dei revisori che ci forniscono testi desunti dalle fonti, ripuliti da interventi postumi, ripuliti da errori perpetuatisi nel tempo e, soprattutto, ripuliti da interpolazioni di altri musicisti, chiunque essi siano.

 

Nell'Ottocento, la Breitkopf (faccio un esempio che conosco molto bene), pubblicò una immensa quantità di musica, praticamente tutti i compositori tedeschi, da Bach in poi, erano editi da Breitkopf. Il lavoro sui manoscritti o sulle prime edizioni non era certo così accurato come quello che si fa oggi e venivano non solo trasferiti nelle nuove edizioni Breitkopf errori di stampa delle prime edizioni, ma addirittura "corretti" presunti errori del compositore, senza preoccuparsi di verificare se nello stile e nel linguaggio di quel compositore quegli "errori" non fossero in realtà delle caratteristiche. E fu così, ad esempio, che dalla musica di Beethoven, da quella di Mozart, da quella di Brahms... sparirono i cunei, che diventarono automaticamente punti (ma sia Mozart sia Beethoven sia Brahms usavano con molta accuratezza gli uni e gli altri, a seconda dei casi!); fu così che moltissimi accenti di Schubert diventarono come per incanto forcelle in diminuendo (un caso eclatante: la Sinfonia "Grande", che termina con un do lungo a tutta orchestra, fz e con accento >, che divenne diminuendo per il semplice motivo che Schubert, dovendo accentare la nota lunga, aveva allungato anche l'accento!).

 

E questo per dire solo di un paio di dettagli (comunque fondamentali, soprattutto se li pensate trasferiti all'intera produzione strumentale di questi autori), e per tacere di una miriade di errori più o meno gravi, di note sbagliate, di fraseggi uniformati, di colori spostati ecc.

 

Se ascoltate incisioni degli anni '50, '60, '70, realizzate da grandi orchestre e grandi direttori, vi accorgerete che questi errori ci sono, ma naturalmente non è assolutamente colpa dei musicisti: la responsabilità è delle case editrici, che fino ad un certo punto hanno mantenuto l'esclusiva sulla pubblicazione e hanno continuato a diffondere materiali "s-corretti". Oggi, per fortuna, non è più così ed è sempre più diffuso l'utilizzo da parte dei musicisti dei materiali in edizione critica. Certo, l'osservazione che si possano trovare su IMSLP edizioni ottocentesche e piene di inesattezze e che questo comprometta il lavoro accurato è giusta, ma è anche vero che la consapevolezza di cosa sia corretto o meno è sempre più diffusa, almeno in ambito professionale.

 

Perché ho fatto una volta ancora questo discorso? Perché alla domanda su come poter essere in grado di "dire qualcosa" e alla mia risposta a proposito della "familiarità" con uno o l'altro autore, non potevo che far seguire alcune osservazioni riguardo l'unico modo che ritengo possibile per acquisire familiarità con un autore, ovvero quello di studiarlo su un testo che sia stato accuratamente rivisto in senso critico da musicologi competenti e studiosi attenti.

 

Ho studiato, anni fa, le Sonate di Beethoven sull'edizione Henle (Urtext) sul cui frontespizio sta scritto: NACH EIGENSCHRIFTEN, ABSCHRIFTEN UND ORIGINALAUSGABEN - HERAUSGEGEBEN VON B. A. WALLNER, FINGERSATZ VON CONRAD HANSEN (ovvero: da manoscritti, copie ed edizioni originali - revisione di..., diteggiature di...). Di fronte ad un'edizione di questo tipo uno sa in principio che il lavoro è stato curato sulle fonti dichiarate, che le diteggiature non sono di Beethoven (tranne quelle segnate in corsivo, autografe, rare ma presenti - vedi ad es. passaggio di ottave glissate nella Waldstein, diteggiato da Beethoven stesso) e che tutto ciò che è stato "aggiunto" è sulla base di quelle fonti (ovvero di consuetudini riscontrate nello stile di LVB) ed è segnalato con un carattere differente, o tra parentesi, o in nota. E lo stesso vale per tutti gli altri autori, pubblicati negli anni sia da Henle sia da Bärenreiter, le due case editrici di riferimento per (quasi) tutta la musica, insieme a Boosey & Hawkes per i russi e gli americani.

 

Quando ho iniziato a studiare, dopo qualche anno, il repertorio sinfonico di Beethoven, la mia familiarità con la sua scrittura arrivava da lì, dalle Sonate, e riconoscevo uno stile, una consuetudine nell'utilizzare certi segni ecc. È a questo tipo di educazione che facevo riferimento alcuni post indietro, quando sostenevo la grande importanza di utilizzare fin dall'inizio testi curati in questo modo, per evitare di abituarsi a edizioni corredate di indicazioni aggiuntive e del tutto personali, che non fanno che confondere le idee a chi non abbia piena consapevolezza di cosa deve essere considerato autentico e cosa no. E le edizioni Breitkopf cui facevo riferimento prima, ma anche tutte le edizioni Ricordi delle Sonate di Beethoven, della musica di Bach, di Mozart... tutto insomma, non segnalano in alcun modo gli interventi del "curatore", portando a pensare l'ignaro studente che tutto ciò che trova scritto sulla carta sia autentico e, comunque, impedendogli di distinguere cosa lo è da cosa no.

 

* Sappiamo, ad esempio, che ABM conosceva a memoria una enorme quantità di repertorio, anche se poi per scelta eseguiva in pubblico solo alcuni pezzi. Lo stesso vale per Kleiber, che dirigeva in pubblico pochissime sinfonie e ancora meno opere, ma conosceva una quantità di musica impensabile.

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  • 4 years later...

A dire il vero ho letto qua e là. Mi sembra di capire che si sia instaurata anche una simpatica e vivace polemica sul rispetto del revisore.

Mi permetto di inserirmi già a "clima caldo" per dire che, secondo me, a volte, non esiste una diteggiatura che vada bene per tutti, sia per le diverse conformazioni della mano, sia per una sorta di chiarezza mentale che la diteggiatura ci può offrire. Ho una revisione, da lezione, con "lapis rosso e blu" di Carlo Zecchi donatomi dalla mia insegnante, sua allieva, venti giorni  prima della sua scomparsa, della sonata in si minore di Chopin. Lei raccontava che Zecchi le disse a proposito di una strana diteggiatura con un quinto dito che scendeva rapidamente dal do diesis al do naturale nelle semicrome del quarto tempo : " pensa di avere due mignoli". Niente di più strano. Ma efficace. A volte anche gli scavalcamento quarto terzo sono efficaci. Si ricordi l'inizio delle 32 variazioni di Beethoven...ma parecchi revisori sono contrari. Si potrebbero produrre numerosi altri esempi.Insomma , imparare a diteggiare significa conoscere a fondo la propria mano e i propri limiti e i propri "schemi mentali", anche relativi alla memoria cinetica. E' un terreno molto personale ed interessante...che tuttavia non vuole disconoscere le indicazioni dei grandi Maestri revisori.

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