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Gli articoli di Armando - III - Beethoven e l' Arte dell' orologeria


OrlandiArmando
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Articolo base del 2009 quale abbozzo dell' articolo pubblicato in inglese nei "Neue Beethoven Studien" volume nove. ( 2011) Nei NBS La parte dedicata a A. W. Thayer nonché le parti bibliografiche sono di Luigi Bellofatto. (in questa sede viene riportata solo la parte descrittiva inerente gli orologi di Beethoven, nonché l' orologio, in mio possesso, di Tobias Haslinger, e l' orologio a ripetizione di Thayer, che ho riparato, di proprietà dello stesso Luigi) La seconda parte, con l' accurata descrizione della riparazione che ho effettuato nel Beethoven-Archiv sulla pendola di Beethoven nel settembre 2011, e delle accurate ed inedite ricerche che Luigi ha fatto sui possessori degli orologi beethoveniani, sarà edita nel volume 10 dei NBS fra un mese circa, nella speranza che questa pubblicata e la futura siano la ricerca definitiva su quest' affascinante e inusuale argomento.

 

BEETHOVEN E L’ ARTE DELL’ OROLOGERIA,

UNA RICERCA TECNICO – ICONOGRAFICA

 

GLI OROLOGI DI BEETHOVEN, DI TOBIAS HASLINGER E DI ALEXANDER WHEELOCK THAYER

 

Parte prima: gli orologi da tasca

 

L’ inventario finale dell’ incanto della “Successione Beethoven” recita così: “Inventario e stima giudiziaria della successione Signor Ludwig van Beethoven, compositore, deceduto a Vienna il 26 marzo 1827, dal testamento, presso il 200 Alservorstadt. Durata delle vacazioni: 8 giorni. “Paragrafo quattro, oggetti preziosi, oggetto numero tre: orologio d’ argento a minuti, prezzo stimato in moneta convenzionale Fiorini 8.”…..

Questa sommaria descrizione del curatore fu inserita in una mia prima stesura di quest’ articolo, apparsa sulla “Revue Beethoven” dell’ A.B.F. e mi fece congetturare una ricostruzione di quest’ orologio, del quale all’ epoca non conoscevo immagine e che riporto qui in calce:

1) Uno scappamento a verga di vecchia concezione, molto più “grezzo” ma molto meno delicato di quelli con sistema “a cilindro”

2) Cassa in argento, come ci dimostra la vendita all’ incanto.

3) Quadrante in smalto bianco, con grossi numeri arabi (molto più in uso nella Austria del 1770-1830 che non i numeri romani)

4) Due sfere, per ore e minuti (orologio a minuti, dice l’ inventario) piuttosto visibili, dal momento che Beethoven era piuttosto miope, come dimostrano i suoi occhiali sopravvissuti sino a noi.

5) Carica a conoide e catena, con probabile carica al retro, e chiave “a pipa”.

6) Molto difficile stabilire la provenienza del movimento. Prima e dopo le guerre Napoleoniche per gli esportatori di movimenti inglesi era prassi far reincassare all’ estero i loro movimenti prodotti in patria.

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La mia fruttuosa collaborazione con Luigi Bellofatto fece rintracciare alcuni rari articoli inerenti gli orologi beethoveniani. Il primo, pubblicato dalla rivista inglese “Musical Time” del 15 dicembre 1892 ci parla di un primo orologio, allegando al breve trafiletto addirittura un disegno: "BEETHOVEN'S W ATCH (p. 24). This watch, now in the possession of G. W. Davy, Esq., is supposed to be the one which is known to have been sent by Moscheles from London. The case is of silver and of foreign manufacture, while the works are of English make. The maker, George Prior, was also a well-known violoncellist, and it is not too much to suppose that he was known to Moscheles. Another reason for favouring this supposition is, that in the filigree covering of the interior works is the figure of a lyre".

Ovvero: L’ orologio di Beethoven. “Quest’ orologio, posseduto attualmente dal sig. G. W. Davy, si suppone fosse quello spedito (a Beethoven) da Moscheles da Londra. La cassa è d’ argento e di manifattura straniera, mentre il meccanismo è inglese.

Il creatore, Georg Prior, fu anche un noto violoncellista, e si può supporre che fosse conosciuto da Moscheles. Un'altra ragione che favorisce questa supposizione è, che nella filigrana che copre il movimento vi è incisa una lira".

 

Nel museo Poldi Pezzoli a Milano viene conservato un esemplare, donato da Bruno Falk nel 1973, dello stesso Prior, e proprio dello stesso periodo. Pur essendo, come casseria, di fattura molto più elaborata nell’ orologio da noi preso in esame, in realtà ne ricalca gli stilemi essenziali. In tutti gli esemplari da me osservati, il quadrante cede dimensione ad una elaborata sezione di cerchio, che Prior adibisce a decorazione non funzionale alla lettura dell’ ora, ingentilita a motivi di chiara derivazione rustica. Anzi il quadrante, canonicamente realizzato a smalto, viene assai sacrificato nelle sue dimensioni, sebbene Prior adotti il sistema di numerazione arabo.

 

Nella fotografia si nota il quadrello di regolazione dell’ orario, sulla frizione della sfera minuti. Come praticamente la totalità della produzione inglese del periodo, la carica si trova sul retro, direttamente sul conoide. Ancora, si intravvede alla destra il piccolo unghiolo di apertura della cassa posteriore, per accedere alla controcassa e quindi ricaricare l’ orologio.

 

La succinta descrizione che ci viene fornita non dissipa molti dubbi; ad esempio l’ affermazione “The case is of silver and of foreign manufacture” deve essere stata supportata dalla lettura di punzoni incisi nell’ argento non corrispondenti a quelli dello stesso Prior.

 

La seconda deduzione, ovvero “Another reason for favouring this supposition is, that in the filigree covering of the interior works is the figure of a lyre" è altrettanto da rigettare. Innanzitutto la “filigrana” cui si riferisce il descrittore è sicuramente la descrizione del ponte della verga, che negli orologi di quest’ epoca, come abbiamo già avuto modo di dire, era sistematicamente lavorata a bulino (lo vedremo anche nel secondo orologio disperso).

 

Il fatto che l’ incisore abbia optato per una lira non è un elemento confutante l’ appartenenza ad un musicista, poiché la lira, grazie anche alla sua forma, venne riprodotta su un gran numero di ponti della verga, sia da altri incisori che dallo stesso Prior.

 

Più facile, secondo il mio parere, che Prior si sia riferito piuttosto alla sua stimata attività di violoncellista; esiste un altro famoso orologio proprio dello stesso costruttore, questa volta una chatelaine femminile, che porta proprio un’ allegoria della musica, sia nel movimento che negli eccellenti smalti policromi della cassa.

 

Interessante anche la piccola chiave trilobata, lavorata a sbalzo, probabilmente coeva, bimetallica. La catenella è poco visibile, ma parrebbe una semplice groumette.

 

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Il secondo orologio preso in questione è segnato nell’ archivio della BeethovenHaus come B 738/c e Ley, band VI, Nr. 1141 Archivraum II) di anonimo e probabilmente risalente agli anni 10/20 del secolo passato, ci presenta l’ orologio adagiato su un cuscino, con un grande quadrante a numeri romani, due sfere lavorate tipo “Luigi XV” e il grosso quadrello per la messa segno delle stesse.

 

Particolare particolarmente interessante è la presenza della grossa e robusta cassa di protezione, di tipo militare, per preservare la delicata cassa interna, lavorata a sbalzo con decorazioni e sottili sfere imitanti sferule o perle di fiume, ed il foro apicale per la fuoriuscita del pendente, ovvero della barra o colletto, fissato alla cassa dello stesso orologio, sul quale è incernierato l’ anello si sospensione. In questo caso l’ anello si presenta molto schiacciato, riportando un gusto tipicamente più francese o tedesco che non inglese.

 

La seconda fotografia (B 738/c Mappe 7/22) risulta assai interessante, poiché ci mostra il verso dell’ oggetto, con il quadrato di carica dell’ orologio, (notiamo anche l’ usura sul bordo, indice dell’ uso continuo dell’ apparecchio) nonché dell’ interessante, grossa cerniera di tipo militare, per facilitare l’ apertura della lunetta del vetro.

 

La scritta “Ludwig van Beethoven” incisa a bulino, orizzontalmente sotto il foro di carica, si può affermare che sia opera di incisore tedesco locale, per le lettere in gotico stampatello, con pochi svolazzi e con una “B” di grossolana fattura.

 

Nell’ ultima e non meno importante testimonianza fotografica, B 738/b Mappe 7/22 ecco la visione canonica di un orologio a verga aperto, con la sua grossa conchiglia d’ argento o di mistura, il foro per accedere al quadrello di carica, il ribaltamento del movimento, che diventa sottostante rispetto alla cassa.

Impossibile stabilire la provenienza del movimento, ma si possono notare le grandi decorazioni della platina, nonché la gustosa trapuntatura del ponte della verga, qui decorato a squisito motivo di due angeli che sorreggono uno stemma.

 

Ed ancora, la parte posteriore della protezione dell’ orologio, che in questa fotografia appare composta da metallo brunito, oppure metallo ricoperto da uno strato di pelle nera, o rossiccia, forse ingentilito da una corona di piccole perle di fiume, che si interrompono solamente nel punto di fuoriuscita del pendente, di cui avevamo già detto.

 

Come conforto alle nostra affermazioni, la succinta descrizione della Beethoven Haus recita così:

Taschenuhr aus dem Besitz Beethovens; auseinander genommene Einzelteile des Gehäuses und Uhrwerk. - Anonyme Fotografie. N.B.: Vgl. zur Identifikation der Uhr B 738/a; verso handschriftlicher Vermerk: "No. II / Oben: Rückseite v. Schutz- / deckel - rötlichbraungeflammt / Emaille mit Silberknöpfchenrand / dieselben sind nach links durchge- / hend und ungehämmert. / Unten: Uhr mit aufgeklappten / Werk. Auf schön gravierter Platte / befinden sich 6 große Rubinen / die figürliche Darstellung i. d. Mitte / ist aus Silber und tragen 2 Engel mit / Flügel eine Krone anscheinend 7 zackig / das Wappen ist längs fein gerippt und / hat links 3 Striche. Daneben sieht es aus / wie ein zweigeteiltes Kreuz auf Krone / Innenseite Gravierung ROST / SALZBURG. Salzbg. ist mit dem Pinsel auf der Platte nachgezogen da die Schrift so klein / und daher undeutlich war." um 1920 ? – Fotografie ; 13,5 x 8,8 cm

Quindi, adesso sappiamo una data, il 1797, come risulta dalla didascalia dell’ altra fotografia, il nome del costruttore, tale Rost di Salisburgo e che il movimento ha sei “große Rubinen”.

 

Questo dettaglio dei rubini è forse il più interessante, dal momento che, alla fine del XVIII secolo la quasi totalità dei movimenti si avvaleva di boccole di ottone, piuttosto che di pietre, se non sul ponte della verga. Finezza, puramente estetica questa, che giustifica un movimento di particolare pregio.

Scappamenti a rinculo e a riposo.

 

Poiché tutti e due gli orologi appartenuti a Beethoven, nonché quello di mia proprietà appartenuto a Tobias Haslinger risultano del tipo “a verga con conoide e catena” sarà utile una piccola digressione su questo tipo particolare di scappamento.

 

Dall’ inizio del 16° secolo, diventando sempre più numerosi gli orologi da viaggio o portatili, per circa 250 anni dominò incontrastato lo scappamento “a verga”.

Come principio fu solo una riduzione dello scappamento con un bilanciere di traverso tipico dei grandi orologi da campanile, già in uso nel 13° secolo, infine con l’ introduzione della ruota del bilanciere circolare come norma del tempo.

 

Dopo l'introduzione della spirale nel 1675 da parte di Huygens, scoperta decisiva, si ottenne una norma del tempo con capacità di oscillazione autonoma e con ciò un miglioramento notevole della precisione degli orologi.

 

In parallelo agli esperimenti con una spirale si fecero grandi sforzi per migliorare anche lo stesso scappamento.

 

Nacquero così scappamenti completamente nuovi, che provenivano o dagli scappamenti dei grandi orologi o che rappresentavano nuovi pensieri e costruzioni propri per gli orologi da tasca.

 

Uno scappamento ha essenzialmente due compiti: deve frenare un troppo veloce scorrere del rotismo, e contemporaneamente dare al bilanciere (la cosiddetta norma del tempo) un impulso a spinta periodico, possibilmente omogeneo, e quindi donare al movimento un' oscillazione regolare. Questa oscillazione del gruppo bilanciere si divide in tre fasi.

 

1) fase di impulso (arco di impulso)

2) fase del completamento
(arco
di
completamento)

3) fase dell’ inizio
(oscillazione
di
ritorno)

 

L'arco di impulso è il percorso del bilanciere, durante il quale esso riceve l'impulso dal rotismo. L’ arco di completamento è invece il percorso del bilanciere successivo all'arco di impulso Sino al suo punto di ritorno, cioè sin dove viene utilizzata l'energia dell' impulso.

 

L’ oscillazione di ritorno, conclude il percorso che è stato descritto sin ora, ovvero è la fase necessaria al bilanciere stesso per tornare dal punto di ritorno fino all' inizio della fase di impulso.

 

Questa fase è la più importante per giudicare e definire un tipo di scappamento.

Saltando le mere descrizioni tecnico fisiche grazie alla quali può funzionare questo tipo di scappamento, sarà utile notare che, al tempo di Beethoven la maggior parte delle ruote della verga erano rifinite in ottone e la verga in acciaio.

 

Nella seguente plancia esplicativa (vedere figura 000) (Planche numéro 27, page 203) tratta da un volume originale, in mio possesso, dell’ Encyclopédie Méthodique, pubblicata a Padova, Italia, nel 1787, vengono rappresentate la varie parti di un classico movimento a verga che veniva prodotto in Francia. Naturalmente la stessa componentistica è valida anche per le produzioni in altri paesi.

 

Si possono notare così a figura 7 il movimento completo di un tipico orologio a verga, visto di tre quarti, con tanto di ponte della verga lavorato, nonché, in primo piano, il grosso conoide della catena (figura B), e la ruota a denti verticali, detta tradizionalmente “Ruota Caterina”, probabilmente pensando al martirio subito dalla santa d’ Alessandria, che subì un martirio inferto da due grandi ruote dentate.

 

La figura 9 presenta il conoide (F) con la grossa catena di ritenzione (H), il gancio che evita lo scavalcamento della stessa (G), nonché, molto importante, il bariletto della molla (A) che contiene il molla stessa (figura 10).

 

E ed ecco il motivo di una tale complicazione: le molle erano costruite concentriche, come dimostra la stessa figura 10, non avendo ancora la possibilità di costruire molle “ad esse” o “a chiave di violino”.

 

Quindi la molla stessa prendeva molta più forza a pieno avvolgimento, piuttosto che scarica, facendo accelerare molto l’ orologio nelle prime ore di carica, per poi progressivamente decelerare.

 

La catena di ritenzione, avvolta sul conoide, prima più largo e viepiù stretto, compensa questa trazione, distribuendo in maniera più omogenea possibile la forza della molla.

A figura 12 si nota molto bene il pino inclinato della guida della catena, avvolgentesi dal basso verso l’ alto, man mano che si svolge la molla.

 

La figura 11 rappresenta il metodo per regolare il tempo al movimento. Generalmente la leva (T) solidale con la piccola ruota (S) era posta su un grande disco di allumino, all’ epoca materiale prezioso, con inciso “Avance” o “Rétard”, oppure, sugli orologi di produzione inglese, “Fast” e “Slow”, diciture in uso ancora oggi su molti moderni meccanismi manuali ed automatici.

 

La figura 14 ci presenta il disco del bilanciere (B), la spirale a tre spire, nonché il lungo stelo della verga (2), con le sue due palette, che agiscono sulla ruota di scappamento illustrata a figura 16.

 

A figura 17 la ruota di scappamento viene rappresentata di lato. In questo tipo di movimento i denti inclinati erano normalmente 13, ed anche l’ orologio di Haslinger non fa eccezione.

 

Un’ ultima digressione ci viene concessa dalla seguente figura tratta dalla plancia 25 a pagina 201 della stessa Encyclopédie Méthodique;

 

Il questo esploso si può notare con quanta maestria venivano rimagliati i singoli elementi delle catene di ritenzione, con ogni maglia composto da sezioni ad otto, con fori passanti.

Poiché queste catene sono sempre in trazione, anche ad orologio scarico, si può ben capire quante volte queste parti potevano cedere e portare alla riparazione l’ orologio.

 

Del resto, sembra che anche lo stesso Beethoven abbia portato almeno una volta il proprio orologio da uno specialista, come risulta dai quaderni di conversazione e come vedremo più avanti.

 

Nel 18° secolo si incominciarono alcuni esperimenti con paletta di rubini sulla verga, che però non portarono ad alcun miglioramento se si escludono gli orologi da Marina di Harrison e Larcum Kendall, i quali rifinirono anche l'intero meccanismo dell'orologio con alta precisione.

 

Perron fece, nel 1790, molti esperimenti con ruote di scappamento fatte d'oro e di acciaio. Nelle ruote di scappamento in oro la verga si rompeva facilmente. Le ruote di scappamento in acciaio con un po' di olio sulla paletta mostrarono risultati efficaci, anche se lo scappamento negli orologi a verga invece non deve mai essere oliato.

 

Questi esperimenti vennero fatti comunque troppo tardi, poiché agli inizi del diciannovesimo secolo stavasi già affacciando un nuovo protagonista, ovvero lo scappamento a cilindro, che soppianterà definitivamente la verga nel volgere di qualche decennio. Comunque, come grandi costruttori di orologi a verga, si distinsero a Londra, patria di almeno due dei tre orologi presi esame in questo articolo, George Margetts, John Brockbank, John Marriot, William Staples, Timothy Williamson; George Prior e Markwick Markham che produssero tra la fine del Settecento ed i primi anni dell'Ottocento numerosi e preziosi esemplari, buona parte dei quali destinati al mercato turco.

 

In particolare proprio Prior fece la sua fortuna grazie all’ esportazione di preziosi orologi concepiti per il mercato Ottomano.

 

Parte seconda: il contesto storico

 

Nel periodo della vita di Ludwig van Beethoven, 1770 -1827, anche l’ arte dell’ orologeria subì una forte evoluzione; ciò si deve essenzialmente ad alcune influenze storiche ed alla nascita di Abraham Louis Breguet, il quale ebbe la massima espressione della sua arte proprio nel periodo 1794-1823. Nato nel 1747 a Neuchatel, in Svizzera, Breguet (vedi figura numero 000) sta all’ orologeria come Beethoven sta alla musica: a lui vanno riconosciute le più grandi intuizioni della storia dell’ orologeria, fra cui il sistema antiurto per l’ asse del bilanciere, il calendario perpetuo, la suoneria a “gong” ecc…

Naturalmente, parlando di influenze esterne, non si può non parlare delle continue guerre prima fra la Francia rivoluzionaria ed in seguito la Francia Napoleonica contro le potenze dell’ intesa. Guerre che si protrassero – con brevi pause di pochi mesi – dal 1789 al 1815. Come conseguenza pratica della guerra, gli orologiai del periodo furono sottoposti ad una richiesta di meccanismi sempre più precisi ed affidabili, soprattutto per quanto riguarda il calcolo balistico dell’ artiglieria. Proprio in quel periodo i francesi introdussero il sistema di Jean-Baptiste Vaquette de Gribevaul nei loro pezzi da campagna. Particolarmente attivi in quel periodo furono Bergmiller a Parigi, o la famiglia Robert.

Senza scendere nel dettaglio, dagli orologi con scappamento “a verga”, tipici del secolo XVIII, si passò con rapidità al tipico scappamento “a cilindro” del secolo XIX, che garantiva una migliore distribuzione della forza della molla, migliorando sensibilmente la precisione nel corso delle ventiquattro ore. Lo scarto medio di precisione passò da 20 secondi a meno di sei secondi giornalieri, un salto di precisione enorme, per l’ epoca.

Parallelamente al costante miglioramento delle caratteristiche tecniche degli orologi da persona, anche la ricerca per quanto concerne la meccanica applicata fece costanti progressi.

Particolarmente richiesti e motivo di grande stupore furono i pupazzi meccanici, i flotenhur ed i primi metronomi. Se Breguet fu il massimo esponente dell’ orologeria da persona, Pierre Jaquet-Droz, originario di Neuchâtel, in Svizzera, fu forse il maggiore esponente di una ricerca tesa alla costruzione di automi meccanici, o meglio, fu il massimo studioso dell’ arte dell’ orologeria da applicare per la costruzione di “androidi meccanici”.

 

Molta impressione si può ricavare dalla visita al nel Museo di Neuchâtel, in particolare, per quanto concerne la musica, di una “automa musicista che ha corpo, testa, braccia e dita capaci di compiere diversi movimenti naturali; è inoltre in grado di eseguire su un piccolo organo cinque diversi brani con molta precisione: la testa e gli occhi si possono muovere in tutte le direzioni, e per questo può guardare alternativamente lo spartito e le proprie dita. Alla fine di ogni brano fa un inchino verso il pubblico, muovendo la testa e inclinando il corpo. La gola si muove come se stesse respirando, e davvero gli spettatori credono che respiri". Questa automa musicista, che fece furore alla fine del diciottesimo secolo, fu realizzata in gran parte dal figlio di Pierre, Henry – Louis, che fra l’ altro, studiò musica, particolare che aiutò molto la famiglia di “meccanici”.

Non soltanto il museo ci propone automi, ma anche dei Flotenhur, strumenti di orologeria capaci di riprodurre musica scritta su rulli. Questa meravigliosa coincidenza ci introduce direttamente alla considerazione che Beethoven fu intimo amico del conte Deym, (Strietez 1750 – Praga 1804). Questo personaggio eclettico fu costretto a lasciare Vienna subito dopo aver ucciso un avversario in duello, per ritornare nella capitale solamente nel 1790, per aprire una famosa “galleria di Meraviglie”, con il nome di Hofstatuarius Muller”.

Visto il successo di questa, nel 1796 la galleria fu riordinata in locali più ampi, il cosiddetto “Albergo delle Arti”. E’ notevole leggere su di un giornale dell’ epoca di una figura femminile dormiente “che di sera veniva illuminata dalla quieta luce di lampade di alabastro, e dietro la quale si sentiva risuonare una affascinante musica, appositamente composta per il luogo e la visione”.

La suite Beethoveniana per flotenhur è composta da cinque pezzi, che portano il numero di catalogo WoO 33. Il primo, un Adagio assai, potrebbe riferirsi perfettamente alla musica per la fanciulla dormente, ed in definitiva è il pezzo più famoso dei cinque. Il secondo è uno scherzo in sol maggiore, il terzo un allegro, sempre in sol maggiore. Il quarto ed il quinto sono rispettivamente un allegro non più molto ed allegretto (minuetto) senza alcun dubbio riferiti agli stessi scopi dei precedenti.

Più interessante è la Grenadiermarsch, (marcia dei granatieri) per flotenhur, scritta in un periodo compreso fra il 1809 ed il 1819, pubblicata e descritta da G. Kinsky nel Beethoven – Almanach der Deutschen Musikbuckerei nel 1927. Questa marcia è stata trascritta da un rullo per flutenhur sopravissuto sino ai giorni nostri, e precisamente dal rullo 7, numero 2061 del Heyermuseum di Colonia. Le prime due parti, di 20 battute, non sono di Beethoven, ma di una marcia Haydn trascritta da Pater Niemecz. Questa particolarità è di estremo interesse, dal momento che lo stesso Haydn scrisse musiche per flotenhur. (HOBochen XIX 1/6)

Al di là della qualità molto limitata della musica, questa dedizione Beethoveniana verso questo particolare tipo di strumento meccanico ci fa riflettere soprattutto per quanto riguarda la formazione culturale del Maestro, che rimane schiettamente settecentesca, con annesse le implicazioni sia culturali che ludiche del diciottesimo secolo.

Ben noti sono i rapporti che Beethoven ebbe con il “Meccanico di Corte” Johann Mälzel (Mälzl), nato il 15 8 1772 a Regensburg e deceduto nel 1838 . Il termine meccanico è molto indicativo circa il mestiere di Maelzel. Con “meccanico” si indicava l’ inventore di congegni di orologeria. Difatti anche Maelzel fu costruttore di automi, di flotenhur, come il notissimo “Panharmonicon” ma soprattutto fu inventore del metronomo.

A ben pensare, in fondo il metronomo non è altro che un meccanismo da pendola con scappamento rovesciato. Il cursore frizionato che, a seconda dell’ altezza in cui è posto aumenta o diminuisce la velocità dello strumento non è altro che il disco dell’ asta del pendolo solidale all’ ancora dello scappamento. Il sistema è talmente ottimizzato, che la meccanica è arrivata sino agli anni 70 del secolo scorso senza sostanziali modifiche e solo l’ introduzione dell’ elettronica ha cambiato le regole di base di questi congegni.

Anche se la storia della musica riporta che il Maestro di Bonn fu il primo ad adottare il metronomo per indicare in maniera inequivocabile la scansione del tempo delle sue opere più tarde, l’ indubbia difficoltà matematica di Beethoven lo mise sempre in un rapporto difficile con lo strumento; ben note sono le sue continue correzione alle indicazioni dinamiche della nona sinfonia, Op. 125.

Per quanto riguarda il Panharmonicon, strumento meccanico che simulava i suoni dell’ orchestra, doveva esser concepito similmente agli strumenti meccanici dell’ epoca, con grandi rulli forati o punzonati che venivano inseriti nel corpo centrale mosso da contrappesi o meglio da grosse molle caricate a manovella. Purtroppo lo strumento fu perduto nei disastrosi bombardamenti di Stoccarda, durante la seconda guerra mondiale, così come i rulli. Tuttavia esiste una rara fotografia anteguerra in cui si possono osservare due rulli che sembrano confermare la nostra ipotesi.

L’ inusitata grandezza di questi due rulli, probabilmente concepiti in ferro o nel più lavorabile ottone, ci fa comprendere quanto complessa doveva essere la meccanica del congegno, anche in considerazione che la costruzione doveva tenere in conto del fatto che il tutto doveva esser facilmente smontabile e rimontabile, dal momento che fu concepito per esser portato in “tour” per le varie capitali d’ Europa, come effettivamente fece.

Conclusioni

Beethoven fu sempre, nel corso della sua vita, un uomo con ferma cultura settecentesca. Questa sua sensibilità si riflette sia nella vita privata che nell’ arte. Nell’ arte Beethoven forzò la forma – sonata sino all’ estrema tensione, ma non violentò mai la forma, non disgregò mai gli insegnamenti ricevuti in gioventù, neppure negli ultimi quartetti o nelle variazioni Diabelli.

Così pure nella vita privata le sue scelte furono sempre improntate su una concezione da stabile conservatore. Ebbe orologi a verga, tipici del XVIII secolo, amò sipielhur ed organi meccanici. Ebbe occhiali di foggi antiquata, così pure grandi cravatte “à la Titus”.

Quel che ci sorprende è il lavoro incessante del genio, che travalica le mode del tempo ed attualizza un mondo scomparso da 200 anni nelle nebbie del tempo.

 

L’ OROLOGIO DA MENSOLA CONSERVATO ALLA BEETHOVEN HAUS DI BONN

 

L’ unico orologio conservato a Bonn è l’ orologio da mensola, in legno di ciliegio, conservato alla BeethovenHaus, Collezione H.C. Bodmer. Quest’ orologio, dono del Principe Lichnowsky, con avancarica al sei a molla otto giorni e movimento “demi carré” coevo di produzione nazionale, probabilmente fu posseduto da Beethoven nel periodo 1815-1820.

Dopo la sua morte, nel marzo 1827, passò nelle mani di Anton Schindler, infine lo ritroviamo nella collezione di Carl Meinert di Dessau, prima di pervenire, assieme ad altri cimeli beethoveniani, alla casa natale dello stesso.

Lo stile pre-Biedermaier, la totale assenza di sveglia o di suoneria all’ ora ed alla mezz’ ora, come usava all’ epoca, ci dimostra che il povero sordo non aveva necessità di questa complicazione.

Stranamente all’ orologio mancava uno dei quattro fiori di ottone dorato che delimitavano il quadrante in smalto. (vedi figura numero 000).

In una successiva ripresa fotografica, sicuramente post restauro, si nota la mancanza di un’ ulteriore rosetta in basso a sinistra; questo è un vero peccato, poiché facilmente si potrebbe ricavare un calco per sostituire i fregi mancanti.

Il restauro ha anche parzialmente ovviato ai canonici danni degli orologi di questo tipo, lo smalto fratturato sul foro di carica, alle ore sei, nonché agli altrettanto inevitabili danni al nove ed al tre, che denotano una caduta in tempi passati. Probabilmente fu sostituita anche la sospensione, poiché il disco del pendolo risulta sfalsato rispetto la sua naturale collocazione al centro della finestrella anteriore.

Il piccolo busto collocato sulla parte apicale potrebbe rappresentare un’ imperatrice romana, oppure, come risulta dall’ osservazione di altri oggetti coevi, una semplice rappresentazione femminile della Virtù Romana, come Cornelia o Lucrezia, esempio di fedeltà coniugale.

 

L’ OROLOGIO DA MENSOLA CONSERVATO ALLA PASQUALATI HAUS DI VIENNA

 

Il secondo orologio preso in esame è la bella mensolina conservata alla Pasqualati Haus a Vienna. Questo manufatto risulta essere uno splendido esempio della produzione “economica” tedesca della fine del XVIII secolo: un movimento nazionale, con un essenziale pendolo “a goccia”, forse concepito più da interno che per essere utilizzato a vista, la base di legno di ciliegio, nonché la quattro colonnine dello stesso materiale lo collocano temporalmente fra il 1785 ed il 1795.

 

 

OROLOGIO DA MESOLA DELLA PASQUALATI HAUS VIENNA

Interessante è anche il quadrante, a smalto con fini numeri romani. Protetto da un vetro bombato, come consuetudine porta piccoli numeri arabi ai quarti d’ ora, ricopiando pedissequamente la tradizione francese dell’ epoca.

 

Avvitato al movimento da due piccole ma antiestetiche viti alle tre e mezza ed alle nove e mezza, questo quadrante in smalto riporta i piccoli danni tipici dell’ uso prolungato: la semiluna di distacco di materiale alla carica, nonché la frattura sulla cerniera di apertura, alle ore nove, già da me riscontrata su moltissimi modelli del periodo (vedi figura numero 000).

Nel retro, la solita griglia ottonata dorata a fuoco, nasconde parzialmente la retina in tessuto che aveva la duplice funzione di proteggere dalla polvere in movimento, nonché fare da cassa armonica negli orologi dotati di suoneria.

 

 

L’ OROLOGIO DA MURO RAFFIGURATO SU DUE FOTOGRAFIE D’ EPOCA

 

Molto interessanti sono due rare fotografie d’ epoca che raffigurano parte di mobilia ancora esistente, ma soprattutto un orologio di collocato in due diverse posizioni.

La prima fotografia, rintracciata da Dominique Prévot, presidente della A.B.F., Association Beethoven France, raffigura l’ orologio posizionato in una grande cassa di tipo “Morbier” oblunga, in legno, con grandi vetri e pesi a vista.

Sebbene la cartolina risenta del tempo passato, l’ orologio, probabilmente risalente ai primi anni del XIX secolo, è ancora perfettamente distinguibile: il quadrante, di smalto bianco, porta grandi numeri romani. Ed è motivo di grande attenzione, inoltre, la grossa ghiera, sicuramente ottonata, che appare al centro delle sfere.

In questo tipo di orologi questa ghiera girevole, solidale ad una ruota interna, era preposta alla regolazione della sveglia mattutina. La sveglia, azionata da un proprio martelletto a “T” faceva gong sulla stessa campana della suoneria. Difatti, parzialmente nascosta dalla decorazione dipinta su base lignea, ecco intravvedersi la grossa campana assolutamente tipica in questa tipologia di pendole.

La ricarica di questo meccanismo avveniva manualmente sulle due catene che reggono le due pesanti pigne, qua probabilmente di ghisa ricoperta di metallo ottonato a mercurio.

Da questa e dalla successiva fotografia risulta impossibile congetturare la durata della carica, sebbene in questo tipo di orologio, che può definirsi tranquillamente di tipo “della Foresta Nera” la carica doveva essere di otto giorni.

Nell’ altra, molto rovinata fotografia conservata alla Beethoven Haus di Bonn,

( Ley, Band VI, Nr. 1144Standort: Archivraum II) lo stesso orologio ci è presentato solidale con la parete. Questo modo di piazzare la macchina è molto corretto, poiché già lo stesso meccanismo era a sé sufficiente, essendo ricoperto su tutti i lati da lastre di lamiera, che lo isolavano dagli agenti esterni, e che ne rendevano facile il trasporto.

Si può congetturare che lo stesso Beethoven lo abbia utilizzato nei suoi continui spostamenti da un appartamento all’ altro.

La descrizione fornita dalla Beethoven Haus non ci aiuta purtoppo. Apprendiamo le misure della fotografia, nonché la presunta data, 1910 circa, ma al riguardo l’ oggetto ci viene descritto semplicemente come “Tischuhr”, ovvero orologio a muro.

 

L’ OROLOGIO CONSERVATO AL MUSEO DELL’ OROLOGERIA DI VIENNA

Descrizione orologio Uhr Museum Wien

Segue descrizione----------------------------------------------------- (omissis)

 

L’ orologio di Tobias Haslinger

 

Anche l’ orologio, che trovasi attualmente in mio possesso, appartenuto a Robert Haslinger, soddisfa questi requisiti sopra elencati, compreso un movimento inglese del primi anni del 1800, testimonianza degli scambi commerciali ripresi dopo la guerra. (Vedere figure 000).

Robert Haslinger vulgo Tobias, naque il primo marzo 1787 a Zell di Zellhof (Comune di Bad Zell, presso Salisburgo, nell’ Austria Superiore), decedette il 18 Giugno 1842 a Vienna. Fu amico ed editore di Beethoven . Dopo aver passato la giovinezza a Salisburgo, ricevette una prima educazione alla musica nella città di Linz, dal famoso Franz Xaver Glöggl.

Nel 1810 lo troviamo a Vienna, e proprio in questi anni sembra dedicarsi con più assiduità alla musica, tanto che riesce a far pubblicare alcune sue composizioni per pianoforte; fors’ anche per le sue conoscenze nella cerchia degli editori della capitale austriaca. L’ anno di svolta è tuttavia il 1814, quando iniziò a collaborare con Sigmund Anton Steiner (1773 – 1838) per divenirne il socio due anni più tardi.

Nel 1826 diventò infine direttore della Casa Editrice Musicale, situata in Paternostergasse, della quale rimangono tuttora le vestigia. Alla direzione della casa fu infine sostituto dal figlio Karl. Numerose sono le opere di Beethoven pubblicate dallo Haslinger, e tutte del tardo catalogo, ma non possiamo dimenticare molte prime pubblicazioni di Josef Mayseder, Ignaz Moscheles, Karl Maria von Weber, Louis Spohr, Johann Nepomuk Hummel, Wolfgang Amadeus Mozart , Carl Czerny, Muzio Clementi, ma soprattutto la meritoria pubblicazione di tutta l‘ opera di Johann Strauß Padre.

Questo movimento a verga con conoide e catena di ritenzione, è firmato Bevil, Ipswich 20195. Bevil fu orologiaio attivo a Londra ed a Ipswich fra la fine del diciottesimo ed i primi trent’ anni del diciannovesimo secolo.

Il ponte della verga è finemente cesellato a motivi floreali, con una finezza che rimanda sia alle produzioni coeve di Markwick Markham, che produsse esemplari similmente cesellati, per andare incontro alle esigenze del mercato Ottomano.

(Da notare anche la primitiveggiante forma simulante un pendolo del ponte, pure eccellentemente incisa) sia soprattutto all’ identico movimento che trovasi negli orologi coevi di Robinson, attivo a Londra negli stessi anni, del quale di conserva un esemplare risalente al 1833.

Sembra oramai accertato che l’ ébauche utilizzata per l’ orologio di Haslinger sia stata la base per una pletora di rivenditori, orologiai ed incisori, vista la robustezza e l’ adattabilità della stessa.

Il quadrante, di smalto avoriato e numeri romani, leggermente fessurato al sei, porta nella lunetta interna un piccolo paesaggio ad olio. Per quanto abbia indagato sui luoghi della vita dell’ Haslinger, a tutt’ oggi non ho potuto identificare questo bucolico castello sorgente sulle rive di un fiume.

Anche i pilastrini, detti anche colonne o colonnine, ovvero gli elementi di congiunzione delle platine, con la loro forma a balaustra, non fanno che confermare la bontà esecutiva del maestro orologiaio di Ipswich.

Non si nota, come sarebbe stata consuetudine, nessuna garanzia incisa all’ interno della generosa cassa di ottone dorato a fuoco, né ho potuto notare, durante la revisione del movimento, alcuna manipolazione evidente; a tutti gli effetti, sembra che l’ orologio non abbia subito alcuna riparazione dal 1824!

All’ interno della cassa posteriore, una mano ignota scrisse su un piccolo ritaglio di carta: “Zum mein Freude Tobias gut 1824”Ovvero “al mio amico Tobias, buon 1824”. Segue firma non decifrabile.

Sul retro, la scritta “T. Haslinger Wien 1824” è interessante poiché ricalca gli stili grafici in voga sugli orologi inglesi dell’ epoca, piuttosto che l’ austera grafia gotica in uso nei paesi di cultura tedesca, come si vede bene nel verso del secondo orologio di Beethoven.

Tralasciando la particolare corrispondenza emozionale che corrisponde fra questa data e la prima esecuzione della nona sinfonia Opus 125, forse è ancor più interessante notare ancora una volta il filo conduttore che unisce l’ Inghilterra, l’ Austria e tutti i personaggi protagonisti di questa vicenda; forse, ancora una volta, può esser stato Moscheles primo attore di questo importante dono.

Le fonti iconografiche sono anche esse molto scarse: non esiste nessun ritratto dell’ epoca che ritragga Beethoven con un orologio, sia da muro, che da mensola o da panciotto. Tuttavia (vedi figura numero 000) Joseph Eduard Teltscher prese alcuni bozzetti del maestro morente, ed in questo si vede una figura che può essere la parte interna che contiene il pendolo di un orologio da muro (erroneamente identificato con un violino). Fra l’ altro in posizione ideale per la carica dal letto di malattia. Anche di quest’ orologio non rimane traccia.

Per quanto riguarda i due orologi da tasca attribuiti a Beethoven, le uniche fonti conosciute, che io sappia, sono le fotografie pubblicate dalla Beethoven Haus di Bonn, risalenti al 1910 circa, nonché il disegno pubblicato nell’ articolo summenzionato del “Musical Time”.

(PARTE DA ELIMINARE O DA SPOSTARE ALTROVE, GIA’ SCRITTA PER L’ ARTICOLO PRECEDENTE)

 

 

 

l' orologio di ALEXANDER WHEELOCK THAYER

 

 

La storia di Sandoz inizia nel 1530 con la nascita di Johannus Sandoz di Locle, nel cantone di Neuchâtel, in Svizzera. Nel 1870, Henry Sandoz si associa a Jules E. Sandoz per creare la ditta ODIN, prima fabbrica di orologeria della famiglia. E immediatamente la loro vocazione è stata quella costruire orologi a ripetizione, cronografi e diventare pionieri della standardizzazione del loro prodotto.

 

Nel 1920 la ditta Henry Sandoz è ribattezzata Henry Sandoz & Fils poiché il figlio Hermann entra nell'impresa. nel 1926, Henry Sandoz & Fils porta i suoi laboratori a Le Chaux-de-Fonds, nel cantone di Neuchâtel. Verso la fine di quei magnifici anni 20 la fama della ditta Sandoz si estende sino all'India ed al Pakistan, tanto che la ditta arriva a produrre più di un milione di orologi all'anno.

 

Nel 1938 la ditta cambia nuovamente ragione sociale si chiamerà H. Sandoz & Co, ed in seguito Bezzola & Kocher. finalmente nel 1971, avrà il suo nome definitivo: Compagnie des Montres Sandoz S.A., che mantiene tutt'oggi.

 

L'orologio si presenta come una tipica savonette di generose dimensioni avendo un diametro di 50 mm e di 115 grammi di peso.

Come valore aggiunto gli eredi di Thayer conservarono anche la sua scatola originale, a due posti, in legno di ciliegio foderata in velluto granata, recante la scritta

 

Répetition remontoir

AMI Sandoz & fils

91504

Infine, l' orologio è corredato da una splendida catena coeva a maglia marina, di colore leggermente diverso, di grammi 38 con moschettone, "T" da asola ed anellino di sicurezza, catena che si intravvede uscente dal panciotto del Thayer in una splendida fotografia degli ultimi anni della sua vita.

La cassa di oro rosso a d 18K presenta al recto un tipico disegno a scudo che chiaramente serviva ad accogliere le lettere intrecciate della casata. al verso un anonimo disegno guilloché. Nella controcassa sono incise le caratteristiche dell' orologio:

 

Repetition

Remontoir

Ancre leves visibles

22 rubis

Balancier compensateur

Spiral Breguet

N° 99550

 

Ovvero quest' orologio possiede suoneria di ore e dei quarti di ora, ha una corona di carica per ricaricare la molla, ha le leve dell’ ancora visibili dalla parte superiore del movimento , 22 rubini , il bilanciere è composto di due materiali diversi, acciaio ed ottone che compensano le dilatazioni ed i restringimenti termici , e lo stesso possiede una spirale, la cosiddetta "spirale à Breguet", dal nome del famoso orologiaio che inventò e brevettò questo tipo particolare di spirale. Infine viene riportato il numero consecutivo di fabbricazione del orologio .

 

Non si possono non notare nella parte interna del contro coperchio della cassa almeno sette riparazioni . Sembra che Thayer abbia avuto un orologiaio di fiducia , poiché quattro su sette portano la stessa sigla ovveroA13084, A30853, A 31327 e A43347. L' ultima è PW 57374. Nella seconda controcassa leggiamo: 412873pdl e 425412.

Un'altra incisione è presente vicino alla cerniera ma risulta illeggibile e di dubbia interpretazione. Infine, vergato a bulino, vi è l' ultima incisione che ho notato sull' orologio: sotto il quadrante una scritta "dec1896".

 

Il quadrante di smalto bianco con ore romane e secondiera alle sei risulta intonso e privo di quelle piccole venature cui è soggetto lo smalto dopo alcune decine di anni.

Le due delle tre sfere di tipo ad ago sono impreziosite ciascuna da tre diamanti di taglio detto a "cava vecchia"

 

La riparazione.

Il difetto più evidente del orologio era l'impossibilità di caricarlo: ad ogni tentativo di ricarica si notava semplicemente uno slittamento della sua messa a segno. La molla, inoltre, si presentava intatta. Il difetto era da ascriversi alla spernatura della ruota centro.

 

Il corpo della ruota risultava staccato dalla sua delicata alettatura. In effetti, sul quadrante, anche la sottile sfera dei minuti era vagante. Questo indicava il fatto che ad un' ennesima ricarica, improvvisamente la ruota cedette. La molla, non più trattenuta dal corpo della prima ruota, si è svolta con forza, ed il colpo di frusta risultante ha fatto saltare dalla sede la sfera minuti.

 

In questi casi la procedura tipica è smontare il ponte centrale del rotismo e ripernare la ruota con l'apposito bulino. Altro difetto più difficile da individuarsi era la rimozione, avvenuta precedentemente, della leva di ritorno del meccanismo della grande suoneria. Infatti ad un primo ascolto risultava funzionante solamente la piccola suoneria, ovvero i quarti, le mezz' ore ed i tre quarti, con tipico suono di doppio martelletto.

 

Ovviati di questi problemi, si è passati successivamente alla revisione generale del movimento, alla sostituzione della molla della suoneria, alla lucidatura della cassa ed al ripristino della cerniera della stessa.

 

Allo stato attuale l'orologio si presenta in ottime condizioni, il movimento è perfettamente funzionante, la cassa (se si escludono alcune piccole ammaccature sulla ghiera, dovute a cadute) risulta praticamente intonsa.

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Gentile Lory,

 

Innanzitutto sono veramente felice che l' articolo possa esserti interessato; postero' al più' presto anche il pdf dell' articolo completo (in inglese) apparso sui NBS, con buona pace del copyright. Certo cara Lory, mancano le foto, che pero' puoi vedere qua: http://www.lvbeethoven.it/Avvenimenti/Beethoven-Avvenimenti-Orologi-Beethoven.html E' una pagina nascosta nel sito; non sono ancora sicuro di avere tutti i diritti per pubblicare le foto dell' orologio esposto (non esposto, in realtà) al Fitzwillam Museum.

La sequenza fotografica della riparazione della pendolina da mensola di Beethoven qua: http://www.lvbeethoven.it/Avvenimenti/Beethoven-Avvenimenti-PendolaBeethoven.html Non hai idea dell' emozione di mettere mano ad un oggetto che fu nell' ultima dimora di Ludwig......

 

Un abbraccio,

 

A---------------------------

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Va benissimo. Sebbene non credo di esser stato molto formale, non mi piace la forma, penso che con un profilo moderato e con un linguaggio franco ed amichevole si possa accorciare le distanze.

In quanto alla pendolina, si si un' emozione! pensa che il retro era bloccato da un chiodino ad "elle" tutto arrugginito.... per aprirla era necessario ruotarlo..... avevo il cuore a mille per la paura di romperlo sotto gli occhi di tutti. . Inoltre, quando ho preso l' oggetto, il direttore Landemburger ha aperto la vetrina che contiene gli occhiali, i due fermalibri a forma di ussari, il calamaio e le penne... il rasoio ecc.... insomma tutte le cose che vedi sui libri. La vita è meravigliosa, cara Lory. Mai avrei pensato, nella mia vita, di arrivare a fare questo. Ma non è un vanto, credimi. Ho sempre la sensazione di essere stato, nelle molte situazioni musicali in cui mi sono trovato, (ma anche nella vita) semplicemente al posto giusto nel momento giusto. Tutto qua!

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Armando, secondo me sei sempre troppo modesto. Io invece penso che se succede qualcosa è sempre per un motivo, sono poche le volte che le cose capitano per pura combinazione. Se hanno scelto te per portare a termine un compito del genere è perché pensavano che tu, più di altri, avessi le competenze adeguate.

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