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Piano Concerto - Forum pianoforte

Cosa si intende con "mitologie romantiche" su Beethoven?


Elfo
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A me sembra che Beethoven si attenga rigidamente alle regole dell'armonia (vedi anche le modulazioni) e non le tradisce come alcuni romantici successivi.

Forse si può dire che Beethoven inserisce nelle composizioni quella componente emotiva che poi è stata di grande influenza sulla storia della musica. Anche se diversi musicisti e musicologi definiscono Beethoven come emblema di razionalità.

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Qualcuno più esperto di me ti risponderà, sicuramente.

Io dico solo che quando si parla genericamente di "mitologia romantica" ci si riferisce ad un insieme di valori, etici ed estetici soprattutto, tipici della cultura romantica. Uno dei più comuni è riferito all'artista, viene elaborata una sorta di etica filosofica dell'artista romantico. Fare arte significa cercare infinitamente qualcosa che non c'è, soffrire svariati conflitti, di cui il più pesante (in genere) è quello tra forma e contenuto, tra materia e spirito. Questa etica filosofica dell'artista diventa così pervadente da far nascere varie figure di "artista" ideale (e, per tralsato, di uomo romantico). Nascono e vengono sviluppati cicli letterari (e artistici in senso lato) su personaggi come Caravaggio, Tasso, Beethoven, Ernani, anche se i due uomini romantici per eccellenza vengono spesso individuati in Werther e Faust (personaggi del tutto fittizi). L'insieme di caratteristiche e comportamenti che l'estetica romantica ha attribuito a questi personaggi ha formato nel tempo una sorta di "mitologia romantica". Che, quindi, è ben diversa dalla storia/storiografia vera e propria, nel senso che viene proprio a perdersi la differenza tra avvenimenti accaduti realmente e "parabole" estetiche

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Perfetto quello che scrivi Claudio!

 

Dopo la morte di Beethoven nacque immediata l'esigenza di ricostruire la biografia del compositore. I primi scritti apparvero nel 1838 e si trattò di un volumetto biografico-memorialistico ad opera del medico Franz Gerhard Wegeler, amico fin dall'infanzia di Beethoven, e del musicista Ferdinand Ries, allievo di Beethoven fin dal 1803.

Nel 1840 apparve poi la prima imponente biografia vera e propria di Anton Schindler, famulus di Beethoven dal 1812 alla sua morte. Questa biografia è in realtà, piena di falsificazioni, fatti storpiati o inventati dallo stesso Schindler e, già tutto questo contribuì, a creare delle mistificazioni, delle falsità circa la personalità di Beethoven. D'altra parte fu lo stesso Beethoven, a creare i presupposti per tutto ciò. In una lettera del 1825 egli scrisse infatti che, mai e poi mai cercò di smentire qualsiasi notizia, vera o falsa che fosse, detta su di lui: l'esempio più eclatante fu, quando per via del van del suo cognome, qualcuno lo pensò di origine nobiliare, egli si avvide bene di smentire tutto ciò anche perché, questo, gli tornò comodo per la sua causa intentata contro la cognata per l'affidamento del di lei figlio, nonché suo nipote.

Ma c'è un altro modo in cui il comportamento del compositore permise la nascita del mito: le frasi che spesso lui scrisse sul suo diario o nelle sue lettere. Frasi che aiutarono il movimento romantico a dipingerlo come un eroe che per la propria arte sacrificò tutto. Non dimentichiamo che i “figli di Beethoven”, i suoi successori, riconobbero solo la sua grandezza attraverso le musiche del suo secondo stile, detto anche “stile eroico”, mentre non compresero le immense opere del suo terzo stile.

Ma facciamo raccontare a Giovanni Carli Ballola, dalla sua biografia beethoveniana, sommariamente cosa poi accadde: « Beethoven proietta la sua immensa luce su tutta la civiltà musicale del XIXesimo secolo, anche se, come tutti sanno in una parte più, e meno altrove. La sua presenza fu avvertita come quella di una divinità redentrice e tutelare, e i romantici guardarono a lui non tanto come al precursore, quanto a uno di loro, il primo e il più grande. Nulla rimane più indicativo, a tale proposito, del celebre passo contenuto nel saggio sulla “Musica strumentale di Beethoven” che Hoffmann incluse in Kreisleriana e pubblicò nel 1814, vivente e operante il Maestro: « La musica di Beethoven muove la leva del terrore, dell'orrore, dello spavento, del dolore, e suscita appunto quel desiderio nostalgico e infinito che è l'essenza del Romanticismo. Egli è perciò un compositore squisitamente romantico: e non potrebbe essere questa la causa per la quale gli riesce meno bene la musica vocale, che non consente il carattere di nostalgia indefinita, ma solo rappresenta con parole sentimenti determinati provati nel regno dell'indefinito? »; dove non potrebbe essere rivelato in termini più chiari quel processo di mitizzazione che, mediante le capziose interpretazioni, culminerà con gli scritti di Richard Wagner attraverso gli eroici furori di Berlioz e le schumanniane battute di caccia ai reconditi sensi celati nelle Sinfonie e nelle Sonate.

Il movimento romantico naturalmente mise a fuoco soltanto quegli aspetti dell'opera beethoveniana, come la tragica desolazione o l'eroica protervia o ancora il panteistico donarsi agli incanti della natura, che potevano coincidere con il Beethoven mitico e leggendario succeduto a quello della storia e soltanto in parte identificabile in questo. Di Beethoven si volle ignorare la formazione illuministica, il sostanziale ottimismo, la fede nell'uomo e nella ragione,e, ovviamente, la sua stessa diffidenza nei confronti del movimento romantico; così come passarono in secondo piano altri aspetti peculiari della sua arte, come la salubre e rude allegrezza e l'umorismo. Oltre che il suo messaggio spirituale, la sua personalità umana, il contenuto ideale della sua opera, venne fraintesa anche la sua rivoluzione nel campo della forma: vi si volle vedere solo l'anelito a una libertà individualistica, l'irrefrenabile impulso di un ribelle insofferente degli schemi tradizionali, laddove si trattava innanzi tutto della creazione di nuove dimensioni formali, di nuovi ed estremamente più complessi ordini costruttivi. »

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Pienamente d'accordo con le cose scritte

1) da Thallo (la lotta dell'artista per conciliare forma e contenuto nell'opera d'arte)

2) da Daniele (l'esaltazione-annessione dello "stile eroico" da parte dei romantici a scapito di altri aspetti dell'arte di Beethoven)

 

Aggiungerei

1) il musicista sordo: privato del conforto di udire le sue stesse creazioni :Cry:

2) la ferma volontà [parole sue] di voler «afferrare il destino per la gola» :angry2:

3) l'avere desistito dal porre fine alla propria vita [fonte: Test. Heiligenstadt] solo in nome della propria Arte :Hug:

 

più mito di così ?! . . .

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è l'inizio della fine :P di recente leggevo un articolo sul cambio di prospettiva nella storiografia musicale, e questo discorso cade a fagiolo per il nostro topic: queste mitologie romantiche si inseriscono pienamente in quella che spesso viene definita storiografia di destra, l'idea (stringando) che la storia sia fatta da singole personalità. Prima del romanticismo le storie della musica erano storie di gusti musicali nazionali. Col romanticismo si iniziano a fare storie della musica personali, se n'è accennato anche nel topic sull'estro e la natura, parlando di Savinio e del suo modo di definire una storia musicale pre- e post-beethoveniana. Ecco, da un punto di vista storico ha senso parlare di pre- e post-Beethoven solo se considero Beethoven un mito e non una persona :) e se ti accontenti di parlare dell'impatto della sua musica in modo aneddotico... Le ragioni di questo modo di fare storia dell'arte sono moltissime, oggi (da molti anni, in realtà) si cerca di battere nuovi campi, nuovi modi di ricostruire il passato

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Forse Claudio ti stupirò: ma ne sarei felice! :goodjob:

E' ora di riscattare Beethoven da...Beethoven o, più esattamente dal paradigna che il suo mito ha contribuito a costruire. Solo così potrà veramente apparire in tutta la sua necessità, bellezza e sublimità, al di là dell'eccesiva influenza e dominazione che impose a un secolo e mezzo di storia della musica. :Hug:

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ahimé non ho mai letto nulla sull'argomento, ma val la pena dire pure di come gli studi di Beethoven siano proprio stati i primi a scardinare alcuni "miti" tipici dell'interpretazione delle opere alla luce della biografia e della biografia alla luce delle opere. Fortunatamente, infatti, di Beethoven non abbiamo solo le composizioni ma anche gli schizzi, e lo studio degli schizzi (considerato a tutt'oggi una cosa "rivoluzionaria", purtroppo) riesce a dare una vera natura storica anche alle composizioni. Le trasforma, in un certo senso, da punti a segmenti, attività in evoluzione. Allo stesso modo, gli studi sulla storia della ricezione stanno cercando di scindere le varie possibili "identità" di Beethoven, quello storicizzato, quello suonato, quello narrato, tutte entità diverse nei tempi

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«quello storicizzato, quello suonato, quello narrato, tutte entità diverse nei tempi»

 

Bellissimo! . . . Un Beethoven mitico . . . 'polytropos' quanto Odisseo :)

 

Ciao Thallo,

riguardo il tuo post di ieri (sui modi della storiografia) vorrei chiederti una cosa: hai detto che i 'vecchi modi' di fare la storia della musica hanno alla loro base moltissime ragioni. io ne colgo solo una (senza preclusione a considerarne anche altre), ma . . . queste ragioni, a tuo parere, sono tutte infondate, insensate?

 

ciao :)

Luca

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sarebbe il caso di aprire un topic apposta...

la questione è molto complicata, ed in evoluzione. Metodi e obiettivi di ogni disciplina cambiano con la disciplina, nel tempo, nei luoghi in cui la disciplina si studia, secondo scuole e ideologie etc. Le discipline musicologiche sono molto eterogenee, e per giunta relativamente giovani (rispetto a discipline come, non so, la filosofia...). Il discorso sul "metodo" delle discipline musicologiche è relativamente recente ed è partito essenzialmente con una sorta di analisi dei metodi attuati fino ad oggi. Se l'analisi dei metodi dell'analisi musicale (esempio) è relativamente facile, l'analisi dei metodi della storiografia musicale è meno facile. Sono metodologie implicite, non dichiarate (tranne rari casi). La stessa coscienza che esista un metodo nella storiografia musicale è difficile da comprendere. Tutt'oggi la stragrande maggioranza dei contributi bibliografici che si occupano di storia della musica non ha un'introduzione metodologica, non dimostra di prendere in considerazione il problema e, spesso, va contro alcuni degli oggettivi progressi della "Storia" generale.

Ecco, studiare storiografia musicale significa, comunque, unire Storia e Musicologia, utilizzandone i mezzi e le metodologie (singole) creando mezzi e metodologie (di sintesi).

In quest'ottica, esistono storie della musica che non usano in modo chiaro né i mezzi né le metodologie della Storiografia generale. Ancora di più esistono storie della musica che non usano metodologie musicologiche. Censurare queste storie dicendo che sono malfatte è relativamente facile, almeno in senso accademico. Se il povero Savinio avesse fatto storia della musica (perché, ricordiamolo, ha scritto critica, che è diverso), sarebbe stato facile smontarlo, utilizzando semplici metodi storiografici. Più difficile, e comunque inutile, è disporsi con l'animo di "smontare" altre storie della musica. Il buon storiografo usa tutto come se fosse una fonte. Per altro da un po' di tempo la cosiddetta storia della ricezione c'ha messo di fronte al problema per cui la storiografia FA la storia. Per fare un esempio, la mitologia beethoveniana ha influenzato la storia della musica successiva, e la storia generale. Che senso avrebbe limitarsi a dire "ah! Beethoven non era un super-eroe! Sacrilegio metodologico!!". Oggi fa più figo andarsi a riprendere tutti i libri che osannavano Beethoven, fare un resoconto dei punti comuni, magari scoprire qualche rimando trasversale, costruendo così uno SCENARIO. Non solo fatti, insomma, ma anche immaginario, capire non solo cosa è successo in quella che siamo abituati a chiamare storia della musica (ovvero storia delle composizioni), ma capire anche cosa è successo in altre storie della musica meno blasonate, come la storia delle istituzioni musicali, la storia della fruizione, la storia della critica, la storia delle teorie etc.

Tutto fa brodo, insomma.

 

... ma da un punto di vista accademico ;)

da un punto di vista personale, come direbbe Gadamer, abbiamo il DIRITTO di dire che una lettura non ci piace, che non condividiamo una citazione o un punto di vista o un'intera enciclopedia. Facciamo anche noi parte del circuito significante della storia (e della musica)

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[senza aprire un topic apposta... in realtà mi piace osservare come i topic si trasformano passando a nuovi temi interesssanti... sembrano "variazioni"! ]

 

Grazie Thallo,

 

per avermi spiegato il “labirinto dei metodi e dei fini storiografici e critici”: consci, inconsci, incoscienti, impliciti, dichiarati.

 

Torno però al tuo post precedente in cui facevi notare che, accanto a una vecchia storiografia (definita ‘di destra’) per cui la storia della musica è fatta da singole personalità, si affiancano da alcuni anni nuovi metodi di ricostruire il passato musicale.

Mi sembra però che questo vecchio modo abbia una sua ragione (l’unica che io vedo). Ossia il fatto che le opere musicali – oggetti ben più concreti che “La-musica” – sono create da singole personalità: da musicisti, da uomini. E dunque il fatto che una storia della musica sia anche focalizzata su quelle personalità, mi pare una cosa sensata, coi piedi per terra: mi pare un dare ‘pane al pane e vino al vino’.

 

Hai scritto che prima del romanticismo le storie della musica erano storie di gusti musicali nazionali. Bene. Anche questa è una buona cosa [e io ho pensato “Ah… questa allora è la storiografia ‘di sinistra’ :D ].

Perché dico che anche questo modo ha le sue ragioni?

Perché un Bach o un Beethoven non ‘piovono dal cielo’ come divinità sapienti, ma per arrivare a creare quello che ci hanno lasciato, hanno respirato l’aria dei loro tempi, dei loro luoghi, sono cresciuti nell’humus dei gusti e degli stili che li hanno preceduti.

 

Io non so quanto i ‘nuovi modi’ riprendano quella vecchia ottica da te accennata e che io ho chiamato ‘storiografia di sinistra’.

Ma non ti pare – è ciò che ti chiedo – che ‘destra’ e ‘sinistra’ possano fecondamente stare insieme?

 

Più che ‘destra’ e ‘sinistra’… Non ti pare che si possa parlare di una storiografia ‘newtoniana’ (dove l’interesse è focalizzato su quegli ‘affascinanti corpuscoli’ che sono i vari compositori), e di una storiografia ‘quantistica’ (più attenta al clima, alle ‘vibrazioni’, che caratterizzano un’epoca)?

 

Riuscire a conciliare questi approcci porta a uno scenario interessate. Che ne dici?

 

Ciao!

Luca

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accanto a una vecchia storiografia (definita ‘di destra’) per cui la storia della musica è fatta da singole personalità, si affiancano da alcuni anni nuovi metodi di ricostruire il passato musicale.

Mi sembra però che questo vecchio modo abbia una sua ragione (l’unica che io vedo). Ossia il fatto che le opere musicali – oggetti ben più concreti che “La-musica” – sono create da singole personalità: da musicisti, da uomini. E dunque il fatto che una storia della musica sia anche focalizzata su quelle personalità, mi pare una cosa sensata, coi piedi per terra: mi pare un dare ‘pane al pane e vino al vino’.

 

Premessa fondamentale: ogni metodo ha i suoi pro e i suoi contro, quindi qui stiamo facendo essenzialmente esercizio retorico, ci esercitiamo a parlar male e bene dell'uno o degli altri, ma rimanendo coscienti che ogni libro è diverso dall'altro, ogni esito è diverso.

Detto questo, l'esempio è presto fatto: praticamente tutto il repertorio di cantus planus (cosiddetto gregoriano) non ha autore. E parliamo di secoli e secoli di musica. Nel nostro ipotetico libro di storia della musica, di cosa parliamo arrivati lì? Di altri autori medievale, e perfino rinascimentali, sappiamo ben poco, e spesso le notizie sono così dubbie da diventare, appunto, mitografia. Cosa facciamo lì? Tu hai sottolineato una cosa molto giusta, traendone, secondo me, la conseguenza sbagliata: la musica è fatta di opere, ma non necessariamente di autori. Che si parli di opere, allora. Non tutto Bach ha avuto "importanza storica", nel senso che il peso storico delle Passioni è immensamente maggiore rispetto al peso storico delle cantate profane.

Il discorso su Bach si è insinuato anche in altri miei commenti, quindi do un cenno per chiarire la mia posizione: noi consideriamo Bach come un punto, appianiamo il livello ARTISTICO di tutte le sue composizioni e diamo loro lo stesso PESO STORICO. Ma questo è errato. I diversi secoli hanno "scelto" pezzi diversi di repertorio bachiano, dando loro valori diversi, pesi diversi (e interpretazioni diverse). E questi pesi sono diversi anche rispetto ai pesi che lo stesso Bach dava alle sue composizioni: come al solito bisogna ricordarsi che la parte più consistente del catalogo bachiano è fatta di cantate! Noi, invece, abbiamo formato generazioni di pianisti sulle Suite Inglesi e generazioni di compositori sui corali...

 

Hai scritto che prima del romanticismo le storie della musica erano storie di gusti musicali nazionali. Bene. Anche questa è una buona cosa [e io ho pensato “Ah… questa allora è la storiografia ‘di sinistra’ :D ].

 

nel '700 si parlava molto di gusto e di spirito nazionale... ma la storiografia di sinistra è ben diversa :) non sono termini per cui impazzisco, ma sono di uso abbastanza comune. Riassumendo, la storiografia di sinistra si concentra sulla sociologia, sugli scenari economici e sociali; la storiografia di destra sui personaggi. Guerra e Pace inizia con una famosa critica alla storia fatta solo di personaggi, rivendicando il valore dei popoli sulla scena della storia. Accademicamente, sono rimasti pochissimi storici (storici storici, non storici della musica) impegnati in lavori biografici. Anche perché quello che ci manca oggi sono proprio gli scenari. Il problema con la storia della musica è che abbiamo pochi mezzi analitici per tirar fuori "scoperte" dall'analisi di questi benedetti scenari. Cioè, se io scopro che nel teatro di Udine tra il 1850 e il 1870 sono state rappresentate 60 opere di Truffozio Anonimelli, e trovo gli spartiti, e me li analizzo tutti, non è che poi il libro che ci scrivo sopra cambierà le sorti dell'universo... e questo perché le storie dell'arte, a prescindere da tutto, rimangono storie delle opere d'arte...

Ma... bisogna sempre aspettarsi di tutto. Perché Truffozio Anonimelli potrebbe anche essere stato un sano lavoratore che magari aveva un cugino vicino di casa di Liszt, e all'occhio allenato del buon analista potrebbe apparire qualcosa di interessante anche nelle sue opere... In più, se Truffozio Anonimelli aveva il monopolio di quel teatro allora diventa, de facto, Storia. Forse non proprio storia della musica (intesa come storia essenziale dell'arte musicale), ma Storia

 

Perché dico che anche questo modo ha le sue ragioni?

Perché un Bach o un Beethoven non ‘piovono dal cielo’ come divinità sapienti, ma per arrivare a creare quello che ci hanno lasciato, hanno respirato l’aria dei loro tempi, dei loro luoghi, sono cresciuti nell’humus dei gusti e degli stili che li hanno preceduti.

 

per cogliere l'eccezione dobbiamo capire la regola. Capire la regola dei contemporanei di Bach, per esempio, significherebbe rassegnarsi all'idea che in superficie Bach è moooolto conservatore. C'è gente che lo considera il padre del contrappunto, quando piuttosto è stato l'ultimo dei figli (in senso cronologico). Ma è lo scenario che ci permette di capire perché la stessa persona ha scritto l'Offerta Musicale e i Concerti Brandeburghesi.

 

 

Io non so quanto i ‘nuovi modi’ riprendano quella vecchia ottica da te accennata e che io ho chiamato ‘storiografia di sinistra’.

Ma non ti pare – è ciò che ti chiedo – che ‘destra’ e ‘sinistra’ possano fecondamente stare insieme?

 

ovvio, andrebbe tutto adattato

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I diversi secoli hanno "scelto" pezzi diversi di repertorio bachiano, dando loro valori diversi, pesi diversi (e interpretazioni diverse). E questi pesi sono diversi anche rispetto ai pesi che lo stesso Bach dava alle sue composizioni: come al solito bisogna ricordarsi che la parte più consistente del catalogo bachiano è fatta di cantate! Noi, invece, abbiamo formato generazioni di pianisti sulle Suite Inglesi e generazioni di compositori sui corali...

 

Senza contare che nella seconda metà del Novecento qualcosa di Bach è diventato realmente pop, ovvero orecchiato anche da chi non ha il minimo interesse per la "musica classica": ad esempio l'Aria della Suite BWV 1068 (grazie a Quark), la Badinerie dalla Suite BWV 1067 (grazie alla Nokia).

Chissà se la musicologia del futuro si occuperà di questi fenomeni, magari leggendoli in chiave diversa dalla mercificazione di adorniana memoria...

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Senza contare che nella seconda metà del Novecento qualcosa di Bach è diventato realmente pop, ovvero orecchiato anche da chi non ha il minimo interesse per la "musica classica": ad esempio l'Aria della Suite BWV 1068 (grazie a Quark), la Badinerie dalla Suite BWV 1067 (grazie alla Nokia).

Chissà se la musicologia del futuro si occuperà di questi fenomeni, magari leggendoli in chiave diversa dalla mercificazione di adorniana memoria...

 

Senza contare questo tipo di iniziative ;)

http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/1523-red-bull-flying-bach

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Chissà se la musicologia del futuro si occuperà di questi fenomeni, magari leggendoli in chiave diversa dalla mercificazione di adorniana memoria...

 

Potrebbe essere anche interessante fare un approfondimento per quanto riuarda la Sociologia della Musica, qui se ne faceva cenno senza troppi "risvolti"...lo trovo un ambito molto interessante

 

http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/1607-sociologia-della-musica

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«praticamente tutto il repertorio di cantus planus (cosiddetto gregoriano) non ha autore. E parliamo di secoli e secoli di musica. Nel nostro ipotetico libro di storia della musica, di cosa parliamo arrivati lì? Di altri autori medievale, e perfino rinascimentali, sappiamo ben poco, e spesso le notizie sono così dubbie da diventare, appunto, mitografia. Cosa facciamo lì?» [Thallo]

 

è vero Thallo. Tutti autori sconosciuti.

Mi pare ovvio che nel nostro ipotetico libro questi capitoli abbiano - serenamente - solo la parte 'di sinistra'.

 

«la musica è fatta di opere, ma non necessariamente di autori. Che si parli di opere, allora» [Thallo].

 

Sono molto d'accordo. Le opere. . . innanzitutto!

 

ciao!

Luca

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... il peso storico delle Passioni è immensamente maggiore rispetto al peso storico delle cantate profane.

Il discorso su Bach si è insinuato anche in altri miei commenti, quindi do un cenno per chiarire la mia posizione: noi consideriamo Bach come un punto, appianiamo il livello ARTISTICO di tutte le sue composizioni e diamo loro lo stesso PESO STORICO. Ma questo è errato. I diversi secoli hanno "scelto" pezzi diversi di repertorio bachiano, dando loro valori diversi, pesi diversi (e interpretazioni diverse). E questi pesi sono diversi anche rispetto ai pesi che lo stesso Bach dava alle sue composizioni: come al solito bisogna ricordarsi che la parte più consistente del catalogo bachiano è fatta di cantate! Noi, invece, abbiamo formato generazioni di pianisti sulle Suite Inglesi e generazioni di compositori sui corali...(Claudio)

 

Bene Claudio, questo è il tuo punto di vista sul quale potrei dire che sono d'accordo e non sono d'accordo. Cercherò di spiegartene il perché.

Sono perfettamente d'accordo quando affermi che non tutto Bach sia artisticamente allo stesso livello, negarlo sarebbe una sciocchezza ma, penso sia altrettanto essenziale a questo punto, affermare che questo discorso riguarda tutti i grandissimi compositori e, quando dico tutti, intendo proprio nessuno escluso. Così come è esistito un Bach minore e maggiore si può dire altrettanto di Mozart, Beethoven, Wagner etc. Lo dico non per un eccesso di pignoleria ma perché conosco tanti che affermano che in Mozart tutto è grande e non banale e, anche questa, è una grossa sciocchezza.

Precisato questo, se è indubbio che le Passioni – almeno quelle due che a noi sono solo purtroppo pervenute – nel repertorio bachiano rappresentano una vetta himalayana, è altrettanto vero che un conto è paragonarle alle cantate profane e un conto è paragonarle a quelle sacre. Lo dico per un eccesso di voglia di chiarire perché, nel tuo discorso, poi sembra tu ne faccia un unico fascio affermando « che la parte più consistente del catalogo bachiano è fatta di cantate ».

A fronte di circa 196 cantate sacre, si annoverano solo 16 cantate profane: se si pensa che il contemporaneo compositore tedesco, Telemann, considerato più famoso e più grande in quei tempi di Bach, ne compose ben circa 2000, non è poi che il numero di quelle di Bach sia così cospicuo e, questo anche se lo si proporziona al catalogo complessivo di entrambi i compositori.

Ma detto ciò, quello che mi preme qui ricordare è che con le cantate sacre, Bach raggiunse stupefacenti conclusioni musicali, con una vocalità che solo a tratti e ad osservatori superficiali – non sto ovviamente parlando di te Claudio, ma il mio vuole essere un discorso di carattere generale – può sembrare manierata: adesione perfetta al testo, anche nei momenti di grande virtuosismo che spesso sono sostenuti dalla presenza di uno o più strumenti obbligati in gara con la voce. Si tratta di centinaia di arie degne di figurare in vere e proprie antologie. Bach non è mai gratuito o pleonastico, ma richiede impegno e partecipazione, consapevolezza artistica e umiltà. Bach oggi ci appare come uno spirito universale, che ha abbracciato in eguale misura la sfera religiosa e la sfera profana della musica, in un modo in cui l'elemento spirituale e l'elemento mondano costituivano ancora un'unità.

 

Capire la regola dei contemporanei di Bach, per esempio, significherebbe rassegnarsi all'idea che in superficie Bach è moooolto conservatore. C'è gente che lo considera il padre del contrappunto, quando piuttosto è stato l'ultimo dei figli (in senso cronologico). (Claudio)

 

A me, Claudio, la parola conservatore non pare quella giusta. Preferisco definire il modo di comporre di Bach con una maniera tanto cara a Fedele D'Amico: un « sintetizzatore » della sua epoca.

Qui si è parlato di due miti del romanticismo relativi uno, alla figura di Beethoven e l'altro, alla figura di Mozart. Una parte dello stesso Romanticismo considerò la musica di Bach « arcaica » (ti ricorda qualcosa questo? :);) ) e questo pensiero non può che essere spiegato solo con un sostrato di incomprensione.

Se Bach non fosse stato un sintetizzatore del suo tempo si sarebbe piegato alla moda dello stile galante allora in voga, come fece Telemann, oggi giustamente relegato ad un ruolo molto minore e, se fosse per me, starebbe ancora più giù, nonostante ogni tanto si tenti di rivalutarlo. L'epoca dello stile galante è, dal mio punto di vista, uno dei periodi musicali più scadenti e per fortuna che Bach padre – a differenza dei suoi figli – non vi si assoggettò perché, oggi se no, non staremmo qui a parlare di uno dei massimi geni della musica.

Chi sostiene poi che Bach fu il padre del contrappunto dice un'altra sciocchezza. Il contrappunto però è variato assai a seconda delle epoche e, il contrappunto tonale giunse al suo apice nei secoli del Barocco e Bach ne fu il sommo sacerdote: la sua forma più celebrata e unitaria, la Fuga.

L'ho già detto e lo ripeto: oggi, col senno del poi, possiamo affermare che Bach fu passato, presente e futuro.

Dopo di lui trionfò l'omofonia e, se con Haydn e Mozart ci furono i primi, di tanto in tanto, risvegli della polifonia, questo recupero in Beethoven fu più tenace e meditato. Beethoven compose la sua musica col fine di essere l'erede di tutta la musica europea fin dal suo inizio. Avrebbe voluto essere il fautore di tutta una sintesi di epoche solo apparentemente inconciliabili ma, questo suo progetto venne veramente realizzato un secolo dopo da Schönberg e Stravinskij e, questo a dispetto dei loro percorsi musicali diametralmente opposti ma intersecanti: essi sono veramente gli eredi integrali ( e probabilmente gli ultimi) di tutta la storia della musica. Ma questi sono già altri discorsi!

Su come scrivere una storia della musica ci vediamo di là!

 

Ciao Claudio!

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Due cose:

d'accordo sulle specifiche sulle cantate. Quando parlavo delle cantate considerandole la parte più consistente dell'opera bachiana, mi riferivo alla consistenza numerica; sono capitali dal punto di vista artistico, ma, ahimé, potrebbero essere facilmente prese come esempio di opere stupende che hanno avuto poco peso storico. La cantata, come genere, ha già avuto una storia non proprio esaltante; sfido chiunque a trovarmi una cantata in una stagione di qualche ente o associazione concertistica di grido :) è una sfida in cui ci perdiamo tutti, purtroppo, e lo dico anche da cantante. Le cantate bachiane sono praticamente le uniche eseguite in modo diffuso oggi nel mondo, ed è proprio confrontando questa attuale situazione con la situazione ai tempi di Bach (di cui è sintomatica anche la cospicuità delle cantate di Telemann) e con il valore artistico di queste opere che capiamo quanto selettivi siamo stati con Bach (e con tutti gli altri, sfondi una porta aperta in questo senso).

Seconda cosa: sull'arcaicità di Bach... se continui ad essere il Daniele dal multiforme ingegno di cui ho letto altri messaggi, allora questo è un riferimento al diverbio sulla "vecchiaia" di Bach :) ora, non mi ricordo in che topic dissi quella cosa là, ma ricordo che aveva a che fare con le modalità di ascolto. In quel milieu, il mio discorso è quasi banale: chi ascolta Bach oggi (e lo ha ascoltato negli ultimi 200 anni) sa che Bach è genericamente "musica classica" o, ancora di più, "musica barocca". E' musica passata, va ascoltata in un modo preciso, veicola valori e significati che per una minoranza infima di persone (arrogantemente, "noi") sono valori e significati attuali, ma che per la maggioranza delle persone sono quella cosa brutta e lontana e incomprensibile che è la "Cultura". Per me il solo semplice fatto che oggi le Passioni di cui sopra si eseguono in giacca e cravatta e si ascoltano in giacca e cravatta, o svaccati sul divano con le cuffie, diventa una differenza ENORME, un filtro al significato, al valore, alla valutazione, alla metabolizzazione di un repertorio che, quando è stato scritto, aveva un rapporto imprescindibile con le SUE PROPRIE modalità e con le sue proprie prassi, esecutive e fruizionali.

Tutto questo discorso sarebbe meno generico se ritrovassimo il messaggio de cuius. Ma finisco dicendo che perfino C.P.E chiamava suo padre "la vecchia parrucca" ;)

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  • 2 weeks later...

«sfido chiunque a trovarmi una cantata in una stagione di qualche ente o associazione concertistica di grido» [Thallo]

 

"Tra il 1994 e il 2003, in collaborazione col Comune di Milano (...) è stata così realizzata, per la prima volta in Italia, l’esecuzione integrale, in 97 concerti, ospitati quasi tutti dalle più belle e storiche chiese milanesi, ed alcuni dal Palazzo Reale, delle oltre 200 Cantate di Johann Sebastian Bach, monumento assoluto della musica d’ogni tempo" (Fonte: Società del Quartetto)

 

. . . . ho vinto qualche cosa!? :D . . . o forse quelle di Bach erano escluse dalla sfida? :unsure:

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:) da una parte hai dimostrato l'eccezionalità dell'evento, il fatto che sia stato pubblicizzato come un ciclo incredibile e imperdibile (la modalità esecutiva "opera omnia" meriterebbe davvero una tesi di dottorato in sociologia), che la cosa sia avvenuta in 9 anni (pazzesco), con la partecipazione dichiarata e imprescindibile di uno dei comuni più ricchi d'Europa (Milano) e all'interno di una stagione DA CAMERA. Ma io non ammetto mai di avere torto, quindi sono io che uso stratagemmi retorici in questo momento ehehe

comunque, davvero, se prendiamo il discorso in modo meno ortodosso, capiamo subito come esistano generi nella storia della musica che oggi 1) non hanno successo 2) costitutivamente non possono essere eseguito nello stesso modo in cui venivano eseguiti (e concepiti) un tempo 3) e anche quando potrebbero essere eseguiti in quel modo, vengono comunque "aggiustati" (nelle dimensioni, soprattutto, ma anche negli organici, nella struttura) 4) e, di conseguenza, perdono di significato nell'entrare in contatto col nostro attuale mondo esecutivo. Il repertorio più vasto su cui questi problemi sono visibili è quello della musica sacra. 1) le messe non hanno successo 2) sono difficilmente eseguibili come parte di una vera liturgia con organici stabili e specializzati 3) molto più spesso vengono compresse ed eseguite in modalità da concerto, o ne vengono eseguite parti 4) e, di conseguenza, diventano ARCHEOLOGIA, ovvero musiche ritrovate, musealizzate, protette

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Caro Thallo,

 

Non sono d’accordo sul discorso che fai sulla valenza archeologica di certe opere – cantate, messe –, cioè sul fatto che siano o debbano essere trattate come pezzi da museo.

Tutto dipende da chi le ascolta.

 

Se io considero Sanctus e Agnus Dei della Messa in si minore (ad esempio) come pezzi “da museo” allora lo diventano davvero. Se me li voglio godere svaccato sul divano, o, perche no, in cuffia scaricando la lavastoviglie, quei brani diventeranno altra cosa.

Se invece – come a volte faccio – li ascolto nel desiderio di immergermi con tutto me stesso in quella musica – in cuffia, sì, ma dentro a quella che per me è la chiesa più grande: il cielo azzurro e le chiome degli alberi – beh, in questo caso, io non li sento pezzi da museo, ma parte viva del mio mondo.

 

Ovvio (e giusto!) il discorso che fai sugli aggiustamenti che tali opere necessitano oggi.

Ma io non ci vedo una perdita di significato nell'entrare in contatto col nostro attuale mondo. Vedo invece un arricchimento di significato: quell’opera – quella cantata – composta più di duecento anni fa è cresciuta: attraverso le epoche e i gusti epocali ha cambiato aspetto, pensieri, prerogative. Dire che portata all’attualità necessariamente perde di significato, equivale a dire che una persona perde il significato originario invecchiando.

Quale è il significato di una persona? Quello originario? Il suo volto e i suoi pensieri di quando è appena stata “composta”? di quando aveva al massimo tre o quattro anni?

Io le opere – che mi interessano ben più dei loro creatori – le vedo, le sento così: “persone” affascinanti (chi più chi meno, ognuna a modo suo); “persone” da conoscere e da cui, in molti casi, ho ricevuto molto.

 

Per precisare (cose da poco):

l’integrale milanese delle cantate bachiane non è avvenuta all’interno di una stagione da camera. La Società del Quartetto, a dispetto del nome, organizza anche altro. E ha organizzato la prima integrale italiana delle Nove Sinfonie di Beethoven nella seconda metà dell’800 (1878 prima esecuzione italiana della Nona).

. . . .

 

No . . . Non lavoro alla Società del Quartetto :rolleyes:

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