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Piano Concerto - Forum pianoforte

«il compositore dovrebbe trattenere il suo estro e seguire la natura»


Barbara
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Franz Joseph Haydn in una conversazione con Beethoven, circa 1793, disse: «Avete molto talento e ne acquisirete ancora di più, enormemente di più. Avete un'abbondanza inesauribile d'ispirazione, avete pensieri che nessuno ha ancora avuto, non sacrificherete mai il vostro pensiero a una norma tirannica, ma sacrificherete le norme alle vostre immaginazioni: voi mi avete dato l'impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime.» Beethoven aveva 23 anni e non aveva ancora scritto nemmeno i Trii op. 1, che sono del 1794.

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Mi impressiona (positivamente!) la citazione di Haydn riportata da Carlos. Sono parole importanti: ben più "pesanti" di tanti altri elogi che il giovane Beethoven ricevette, inclusa la famosa dedica del conte Waldstein.

Mi vien da pensare: ma che colpo d'occhio... Haydn!... [ colpo d'orecchio sarebbe più appropriato :D ] Saper riconoscere un albero mestoso anche quando è ancora un arbusto in mezzo a tanti altri.

 

Riguardo alla domanda di Barbara (e la richiesta di precisazione di Xenakis), forse per "natura" si può intendere, in questo caso, le regole codificate (dell'armonia, della forma). Almeno, così mi pare.

E riguardo al seguirle o meno queste regole, nella storia della musica è avvenuto un po' di tutto: rigido ossequio, spontanea fedeltà, tradimenti consapevoli, tradimenti inconsapevoli... il tutto a prescindere dalla bontà della musica che ne è venuta fuori.

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io ho inteso "seguire la natura" come seguire le regole codificate dell'armonia, della forma, delle proporzioni ecc. (cercando di mettermi nella testa di chi ha detto quella frase a Beethoven) immaginando che all'epoca - all'apice dello stile glante - era diffusa un'idea di natura come qualcosa di non dirompente. E quindi, grande importanza delle proporzioni, simmetria, armonia, piacevolezza. Ma non ci metterei la mano sul fuoco. Potrebbe benissimo intendere giustamente Otello che, spiegando la frase come "affidarsi al proprio istinto" (ossia a qualcosa della propria interiorità), porta il significato della frase proprio in direzione opposta. Chiss

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A ben riflettere, e anche dopo aver letto i vostri commenti, devo dire che l'affermazione di Haydn si presta ad interpretazioni anche opposte fra loro. Se valutiamo la frase inserendola nel contesto della vita e della visione esistenziale del maestro austriaco (che era un fervente cattolico), allora è anche plausibile ritenere che Haydn volesse intendere che il compositore avrebbe dovuto temperare i suoi ardori e indirizzarli a comporre inni di gloria in excelsis Deo. Com'era ovvio, comunque, Beethoven ha pensato bene di andare in ogni caso per la sua strada. E ha fatto benissimo.

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Premettendo che capire le etimologie storiche è sempre un'impresa... come dire, se non lo sai non lo sai, e almeno io non lo so... detto questo, aggiungo un'altra ipotesi, che è stata la prima a venirmi in mente: da una parte l'estro inteso come la creatività musicale "decorativa", diciamo; dall'altra, la natura profonda, in senso schopenaueriano, romantico, nonché la propria natura, che nel caso di Beethoven dovrebbe essere il lato possente, da Sturmer. Ecco, io ho pensato proprio alla contrapposizione tra stile galante e proto-romanticismo, Empfindsamer Stil (C.P.E Bach per intenderci) e Sturm und Drang (Beethoven...)

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Diversi interventi tutti interessanti, non so, ma non so quanto (o non riesco ad associarlo io - mio limite ovviamente) è stato tenuto conto che la frase provenisse da ammiratori di Mozart e Haydn.

 

Io stavo cercando di immaginare uno che ha nelle orecchie Mozart e poi parla di "natura"...

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A ben riflettere, e anche dopo aver letto i vostri commenti, devo dire che l'affermazione di Haydn si presta ad interpretazioni anche opposte fra loro. Se valutiamo la frase inserendola nel contesto della vita e della visione esistenziale del maestro austriaco (che era un fervente cattolico), allora è anche plausibile ritenere che Haydn volesse intendere che il compositore avrebbe dovuto temperare i suoi ardori e indirizzarli a comporre inni di gloria in excelsis Deo. Com'era ovvio, comunque, Beethoven ha pensato bene di andare in ogni caso per la sua strada. E ha fatto benissimo. (Otello)

 

Prima di cercare di rispondere a Barbara, vorrei riprendere questo ultimo intervento di Otello perché, francamente, faccio fatica a seguirlo.

Haydn fu certamente un fervente cattolico ma è anche pur vero che nel suo catalogo fra messe e oratori si è ben lontani dalla mole che compose Mozart che, altrettanto cattolico fu, ma sui generis.

Fra il 1796 e il 1801, compose tre oratori che sono da annoverare come massimi capolavori: “Le ultime sette parole del nostro Salvatore sulla croce”, “La Creazione”, “Le stagioni” e dunque è il caso di dire: grazie a Dio che li ha creati ma, rimane pur sempre vero il che, il nome di Haydn, fu principalmente legato al fatto che egli fu il padre della sinfonia, del quartetto e della sonata e dunque soprattutto un musicista laico – mi si passi il termine – a tutti gli effetti. La verità è poi che come disse tanto tempo fa Richard Strauss – e purtroppo ancora oggi è in buona parte vero almeno per quanto riguarda Haydn -: « Si cerca ancora di scavare nella miniera preziosa di Mozart, ma in quella di Haydn ci sono forse ancora più tesori nascosti di quanto non si sospetti. ». Ma questo è già un altro discorso.

 

«il compositore dovrebbe trattenere il suo estro e seguire la natura»

 

Ho letto che era uno dei tipici consigli che davano a Beethoven alcuni ammiratori di Haydn e Mozart...

... com'è veramente la storia. Può essere? (Barbara)

 

forse per "natura" si può intendere, in questo caso, le regole codificate (dell'armonia, della forma). Almeno, così mi pare.

E riguardo al seguirle o meno queste regole, nella storia della musica è avvenuto un po' di tutto: rigido ossequio, spontanea fedeltà, tradimenti consapevoli, tradimenti inconsapevoli... il tutto a prescindere dalla bontà della musica che ne è venuta fuori. (Luca)

 

Diversi interventi tutti interessanti, non so, ma non so quanto (o non riesco ad associarlo io - mio limite ovviamente) è stato tenuto conto che la frase provenisse da ammiratori di Mozart e Haydn.

 

Io stavo cercando di immaginare uno che ha nelle orecchie Mozart e poi parla di "natura"... (Barbara)

 

Innanzi tutto ciao Barbara, felice d'incontrarti!

Hai ragione! Tu parli di « ammiratori di Haydn e di Mozart » e non dei compositori, di cui uno era già fra l'altro passato a miglior vita e, in parte, dal mio punto di vista ti ha risposto Luca, alla fin fine, quello che intendevano quegli ammiratori era sostanzialmente richiamare Beethoven al rispetto delle « regole codificate (dell'armonia, della forma) ».

Ma, allora ti domanderai tu, perché chiamarla « seguire la natura »?

Perché nelle idee e nel pensiero del periodo Classico e anche del periodo Romantico la Natura – con la N maiuscola – svolse un ruolo assolutamente centrale.

Un poeta come Hölderlin, contemporaneo e amato da Beethoven, considerò la Natura alla stregua dell'armonia universale, della verità immanente, essa era bellezza e perfezione: la Natura non è vivente perché riceve vita, ma perché dà vita, non è divina ma il Divino.

Il teologo e filosofo Johann Gottfried Herder (1744-1803) parlando in specifico della musica così si espresse: « E poiché essa in ogni piccola dissonanza sente se stessa, cogliendo nell'ambito angusto delle nostre limitate combinazioni di suoni e delle nostre tonalità tutte le vibrazioni, i movimenti, i modi, le accentuazioni dello spirito del mondo, dell'universo, è ancora possibile dubitare che la musica superi in efficacia interiore tutte le altre arti? Deve superarle, così come lo spirito domina il corpo: infatti la musica è spirito, affine all'energia più profonda della grande Natura, il movimento. »

Anche lo stesso Beethoven influenzato dalle idee illuministiche ebbe una visione panteistica della Natura: « Onnipotente, nella foresta! Io sono beato, felice: ogni albero parla attraverso te – O Dio! Che splendore! In una tale regione boscosa, in ogni cima vi è pace, la pace per servire Lui – Nel bosco c'è un incanto – È come se in campagna ogni albero mi facesse intendere la sua voce dicendomi: santo santo! ».

Da tutto ciò se ne deduce che per gli uomini di quel periodo - Goethe in prima fila – la perfezione musicale raggiunta da Haydn e Mozart, rappresentasse la voce della Natura e dunque del Divino.

Beethoven invece, arrivato a Vienna, capì da subito che un'epoca era finita, storicamente e artisticamente e, dunque, bisognò trovare, esplorare, inventare, nuove strade. L'ho già scritto e qui lo ripeto: Beethoven fa parte di quella piccolissima schiera di uomini che hanno avuto la possibilità, di unire al loro genio e al loro carattere, una situazione storica favorevole al cambiamento, al rivoluzionamento dello status quo.

Carlos qui ricordava i Trii dell'Opus 1! Ebbene già fin da queste prime opere e, in particolare per 87 battute in pianissimo, del finale del Trio n. 3, Beethoven ricevette i rimbrotti di Haydn che considerò simile scelta, troppo avventata e innovativa: la gente non l'avrebbe compreso.

Sostanzialmente questa è la storia di tutta la vita compositiva del genio di Bonn: quante opere che oggi noi consideriamo dei capolavori assoluti, furono malamente criticate a cominciare dall'Eroica? Tante, innumerevoli e, naturalmente e soprattutto i capolavori himalayani degli ultimi dieci anni di vita.

E dunque come andò a finire? Barbara, te lo faccio raccontare da Milan Kundera che, non ha scritto solo “L'insostenibile leggerezza dell'essere” diventato famoso per un brutto film, ma innumerevoli e sapienti saggi e, questo in particolare, nel suo finale, mi commuove sempre: « Beethoven, negli ultimi dieci anni della sua vita, non si aspetta più nulla da Vienna, dall'aristocrazia, dai musicisti che lo onorano ma non l'ascoltano più; neppure lui del resto li ascolta, non fosse altro che per il fatto che è sordo; è al vertice della sua arte; le sue sonate e i suoi quartetti sono unici; per complessità di costruzione sono lontani dal classicismo, ma non per questo si avvicinano, alla facile spontaneità dei giovani romantici; nell'evoluzione della musica egli ha preso una direzione che non è stata seguita; priva di discepoli, priva di successori, l'opera della sua libertà vespertina è un miracolo un'isola. »

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E' una questione di scuola di pensiero, gentile Daniele Scarpetti. Per parte mio, condivido il pensiero di Alberto Savinio, secondo il quale, "Bach e Mozart (nonché Haydn, per forza di cose - nota di Otello) sono i maggiori rappresentanti della musica presocratica, della musica precedente alla scoperta della coscienza musicale, avvenuta nei primi del secolo XIX per opera di Beethoven" (Scatola sonora, pag. 51).

Per Savinio, l'amore per le musiche dei pre-beethoveniani, per queste musiche che non accrescono le potenzialità dell'uomo, ma che non creano nemmeno ansie, è un effetto della paura. Sono musiche che suonano in modo conservatore, statico, rassicurante. Molto diversamente dall'arte di Beethoven, che è sconvolgente e fautrice del progresso.

Non posso non sentire allo stesso modo.

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Ciao Otello, premetto che non conosco questo libro di cui parli e dunque la risposta che ti darò si baserà unicamente su quanto da te scritto, avrei bisogno di comprendere bene come interpretare questa parte del tuo discorso:" Per Savinio, l'amore per le musiche dei pre-beethoveniani, per queste musiche che non accrescono le potenzialità dell'uomo, ma che non creano nemmeno ansie, è un effetto della paura. Sono musiche che suonano in modo conservatore, statico, rassicurante. Sono musiche che suonano in modo conservatore, statico, rassicurante." Soprattutto mi riferisco all'effetto della paura a cosa è riferito!?!

 

Grazie!

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Ti rispondo volentieri, Daniele. Per farlo, però, preferisco citare ancora una volta Alberto Savinio:

 

"[...] C'e' più profondità, nel senso preciso della parola, in un pensiero di Eraclito, che in tutta ‘L'evoluzione creatrice’ di Bergson. C'e' più profondità, nel senso preciso della parola, nel canto solitario dello scolio di Sicilo, che per tutta la colossale opera di Bach. Ed e' appunto questa mancanza di profondità di Bach, questa sua ingenua serietà, questo suo "non costituire pericolo", che fanno il suo fascino e giustificano l'attrazione ch'egli esercita ormai sulla borghesia. E soprattutto la sua organizzazione da uomo metodico, tranquillo e fedele alla moglie. Perché quanto a organizzazione, nelle grandi composizioni di Bach c'e' già il carro armato e la Panzerdivision."

("Bach e il contrappunto", 1941, da "Scatola sonora")

 

Poiché comunque parliamo soprattutto di Beethoven, allora desidero riportare un altro passo del magnifico libro di Savinio:

 

"[...] In maniera generale, tutti i musicisti pre-beethoveniani spaziano dentro un concetto tolemaico dell’universo, onde noi, per adeguarci a questa diversa e minore misura dell’universo, dobbiamo fare uno sforzo di riassorbimento e di retrogradazione mentale, simile a quello che dovremmo fare se volessimo tornare a credere che la terra è il centro dell’universo, e che al vertice della piramide stellare sovrastante il nostro pianeta, siede circondato di luce il Padreterno, la candida barba aperta sul petto e le mani levate a benedire i suoi figlioli. Nel particolare poi, Palestrina ci costringe dentro un sentiero prettamente liturgico, Vivaldi ci costringe a camminare svelti coi piedi e a tenere la testa in riposo, Bach ci costringe dentro una gabbia intrecciata di contrappunti e chiusa a ogni sguardo d'orizzonte, Rameau ci costringe a girare intorno vestiti di raso cremisi, Mozart ci costringe con nostro grave disappunto a farci piccoli piccoli e innocenti. Questo per i pre-beethoveniani. Quanto ai musicisti venuti dopo Beethoven fino a quelli dei nostri giorni, i romantici ci costringono a chinar la testa e a chiuder gli occhi sotto il soverchio di una malinconica dolcezza, Wagner ci costringe a certi sentimenti tra eroici e balordi, di cui a freddo ci pentiamo amaramente, Debussy ci costringe a trasformarci in creature disarticolate e molli che non riescono a star ritte in piedi, Stravinskij ci costringe a vivere da fantocci dinoccolati e traversati di tanto in tanto da una corrente elettrica. Lui solo, Beethoven, non ci costringe a mutarci, a deformarci, a diminuirci, a uscire dalla nostra condizione di uomini. Perché lui è uomo e la sua musica è musica di uomo. Perché la sua grandezza, che è grandissima, non è se non l'ingrandimento grandissimo dell'uomo. Perché la sua voce, che è altissima, non é se non l'elevazione elevatissima della voce umana."

("Beethoven solo uomo", da "Scatola sonora")

 

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E' una questione di scuola di pensiero

(...)

Per Savinio, l'amore per le musiche dei pre-beethoveniani, per queste musiche che non accrescono le potenzialità dell'uomo, ma che non creano nemmeno ansie, è un effetto della paura. Sono musiche che suonano in modo conservatore, statico, rassicurante. Molto diversamente dall'arte di Beethoven, che è sconvolgente e fautrice del progresso.

Non posso non sentire allo stesso modo.

 

Mi sento di sottolineare la frasettina iniziale. L'opinione di Savinio è molto "forte", così tanto da non far più parte delle considerazioni storiche "pure", ma da diventare fino in fondo critica, ideologizzata e "scolarizzata". Quel tipo di critica che sfocia quasi nella mistica (e nella retorica), e che, non a caso, si rivolge più agli autori che alle opere. Io non la condivido, non riesco a non vedere quanto lontane siano alcune affermazioni (sulle musiche statiche, sulla profondità bachiana o sulla cosmologia tolemaica) dalla realtà musicale, dalle note, insomma. Est modus in rebus: nella critica si può dire quasi tutto, è un'operazione autoriale, c'è la firma alla fine; ma se si fa storia, o musicologia, o analisi, allora bisogna sforzarsi di essere esegeti, di istituire (per quanto in modi diversi) una gerarchia chiara tra sé stessi , i testi e i contesti.

Non è un attacco alla critica o a Savinio (e men che meno a Otello). Ma quando ci si addentra nelle questioni musicali fa sempre bene ricordarsi che alcune opinioni, anche quelle all'apparenza più condivisibili od oggettive, stanno su un piano "ontologico" diverso da quello della "Storia".

 

Detto questo: potremmo pure cercare di capire cosa diavolo traduce l'italiano "estro"... perché se l'originale è in tedesco, allora può essere qualsiasi cosa (Eingebung? Anwandlung? Inspiration?. Stesso discorso, anche se meno complicato, per la parola "natura".

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potremmo pure cercare di capire cosa diavolo traduce l'italiano "estro"... perché se l'originale è in tedesco, allora può essere qualsiasi cosa (Eingebung? Anwandlung? Inspiration?. Stesso discorso, anche se meno complicato, per la parola "natura".

 

Vero, non ci ero proprio arrivata

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Oggi proseguo citando:

Le proposizioni della scienza sono vere o false, perché sono giudizi di esistenza falsificabili; gli enunciati filosofici, invece, sono autentici o apocrifi, perché sono giudizi di significato. La verità di una proposizione è sempre ipotetica, e solo la sua falsità è sperimentale; l'autenticità di un enunciato, invece, è verificabile, e il suo carattere apocrifo è solo suppositizio. Il criterio scientifico è l'esperimento, che può falsificare ma non verifica; il criterio filosofico è l'esperienza, che può confermare ma non confuta. Non potremo mai garantire il perdurare di una proposizione scientifica, né certificare la morte di un enunciato filosofico.

[Gómez Dávila, "In margine a un testo implicito"]

Dunque, non si vede chi potrebbe mai avere ragione in una discussione, qualunque possa essere il piano di considerazione. Per parte mia, discuto per dare e ricevere un contributo di informazione.

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Definisci "enunciato filosofico".

E poi lega in qualche modo questa definizione alle citazioni di Savinio, che non mi pare siano "enunciati filosofici".

E poi rileggi le mie frasi su "storia", "analisi" e "critica"...

Ho cercato e cerco di fare differenze proprio perché le relazioni gerarchiche tra l'opinione, i testi e i contesti nella storiografia, nell'analisi e nella critica musicale sono metodologicamente diverse. Se un'opinione critica è virtualmente infalsificabile (per quanto il criterio di falsificabilità sia semplicemente insensato all'interno di un campo, come la critica, considerato non disciplinare, alla stregua della letteratura o del giornalismo, come dicevo prima), le opinioni storiografiche e le opinioni analitiche DEVONO mantenere un rapporto con i dati di fatto.

L'enunciato "Napoleone è nato nel 1550" è falso, anche se non della stessa falsità matematica per cui 2+2=5 è falso. Certo, domani potremmo perfino scoprire la falsità dei testi che supportavano le nostre conoscenze su Napoleone, ma smontare in modo così radicale la possibilità di un giudizio di falsità e verità per le affermazioni non matematiche inficerebbe gran parte della cultura accademica umana.

Stessa situazione vale per l'analisi musicale, una disciplina tecnica in cui alcuni dei criteri di verità adottati per il giudizio degli enunciati sono forniti da un semplice consenso linguistico. Ad un livello base, analizzare un brano musicale significa frammentare elementi musicali e definirli secondo definizioni già coniate da tempo. Se la sequenza armonica che chiamo "cadenza" in realtà non risponde ai criteri tecnici della cadenza, allora ho detto una cavolata. I problemi nascono quando il livello non è più base ma diventa, diciamo, avanzato...

Trasformare l'analisi musicale "classica" in vera e propria ermeneutica è un processo che porta a tangenze con la critica. Ed è proprio qui che sta la differenza fondamentale tra critica ed analisi. L'analisi basa ogni sua affermazione sul rapporto con il testo musicale (qualsiasi cosa esso voglia dire, perché anche un CD può essere un testo) e sull'elaborazione di un linguaggio tecnico (elaborato in modi a volte disparati). La critica è, spesso, vaga e selettiva, si interroga molto sui perché e poco sui come.

L'affermazione di Savinio "C'e' più profondità, nel senso preciso della parola, nel canto solitario dello scolio di Sicilo, che per tutta la colossale opera di Bach" è vaga e non argomentata. Qual è il senso preciso della parola "profondità", per esempio? Non ha alcun contatto con la "verità storica" delle cose di cui parla. Sicilo, per esempio, non ha scritto nessuno scolio, quello di cui si parla è un epitaffio. Pur non essendo un esperto di musica greca, se quell'epitaffio notato è mai stato effettivamente cantato (pedissequamente o in forma ampliata), è probabile che lo sia stato in forma di trenodia e, quindi, in coro. E' probabile, perciò, che non fosse neppure solitario. Affermare che l'epitaffio di Sicilo sia più profondo dell'intera opera bachiana, poi, ancora prima che un'opinione condivisibile o non condivisibile è, semplicemente, una sentenza non argomentata. La critica di Savinio, come molta critica, porta ad una serie di aporie, non chiarisce ma complica le cose, spesso rendendole più interessanti o trovando tifosi e detrattori.

Ma ricordiamo sempre che non tutto in musica è opinabile.

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Heisenberg, Russell e Goedel hanno demolito quasi del tutto i sistemi fisici e matematici precedenti a loro, senza sostituirli con complessi teorici stabili e definitivi. Anzi, hanno dimostrato che la conoscenza assoluta non è e non sarà mai accessibile alll'uomo. Gli sforzi che i migliori tra noi compiono consistono nel cercare modalità che consentano un'esistenza per quanto possibile meno drammatica per se stessi, e per estensione alla massima parte dell'umanità (dato che il malessere intorno a noi prima o dopo si ripercuoterà sulla nostra esistenza, per quanto si possa ritenere di stare bene). Eppure verifichiamo quotidianamente la pochezza dei risultati che riusciamo a conseguire. Abbiamo impiegato decine di migliaia di anni per passare dalla clava all'energia nucleare, ma il nostro impulso è ancora quello di distruggere i nostri simili. La qual cosa parrebbe dimostrare che il primo problema è trovare gli strumenti per modificare il nostro modo di sentire e i nostri sistemi di comportamento. Vogliamo agire dunque perpetrando gli stessi errori metodologici che hanno ampiamente mostrato la loro insufficienza? Crediamo ancora di poter risolvere i nostri problemi ripetendo i soliti comportamenti? Basta guardarsi intorno per scoraggiarsi. D'altro canto, il fatto stesso che siamo destinati a finire toglie qualsiasi senso alle nostre azioni. Allora cosa scegliere? Affastellare il massimo di beni materiali o rinunciare a tutto? Per quel che ne so, nessun sistema di pensiero ha ancora trovato la soluzione, per quanto ci si abbarbichi al razionalismo piuttosto che alle religioni, oppure alla filosofia in luogo della scienza. E viceversa.

La vita è troppo breve per poter credere di trovare una qualche risposta. Gramsci (un razionalista, per molti versi) affermò che vivere volesse dire essere partigiani. Parteggiare, dunque, Propendere per una tesi, schierarsi per una scelta. E' possibile fare altrimenti? Penso di no. Perché, alla fine, tutto è opinabile.

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Perfino quella che stai usando ora è oratoria ammantata di misticismo... Heisenberg, Russell e Goedel hanno fatto fisica e logica senza demolire nulla, anzi. Hanno dimostrato (soprattutto Russell e Goedel) che i METODI erano in parte sbagliati, non la sostanza. Il paradosso funziona così. Achille RAGGIUNGE la tartaruga! E' questo il punto. Il fatto che la raggiunge serve da prova evidente che il ragionamento ha in sé dei problemi, non è abbastanza forte da portare alla verità.

Ma questa discussione tra me e te, oltre ad essere off-topic, finisce per diventare incomprensibile agli altri. Io credo ancora molto nella comunicabilità, altrimenti non scriverei su questo forum :-) ed in tal senso, sarei curioso di leggere le tue argomentazioni a favore delle affermazioni di Savinio. O meglio, sarei curioso di capire se pensi che ci sia la possibilità di argomentare a favore di una tesi o meno. Hai detto che tu "la senti" in quel modo. Quindi immagino che della "verità storica" o analitica della musica passata ti interessi fino ad un certo punto...

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Mi piace molto discutere con te, Thallo: sei colto e dotato di logica. Hai tante ragioni, anche per quel che mi riguarda. Ma pure tu hai le tue belle mistiche, mi pare.

Non voglio comunque tediare ulteriormente i nostri compagni di viaggio e non intendo essere invadente con gli squisiti padroni di casa. Concludo perciò affermando soltanto che le verità in cui mi sono imbattuto fino ad oggi, in ogni ambito, non mi sono poi apparse così vere, alla prova dei fatti. Ma nutro molta speranza.

Un saluto a te e a tutti. E un ringraziamento a Barbara, che ha iniziato una discussione così interessante.

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Pensavo di aver detto la mia (riguardo a “seguire o no la natura”) e non scrivere più niente in questa discussione. Ma la discussione è andata altrove (cosa che il più delle volte a me non crea problemi).

Dunque: non sapevo chi fosse Alberto Savinio. In seguito alle citazioni di Otello sono andato a cercare notizie di lui in internet.

Ora solo due opinioni sugli estratti dal suo «magnifico libro» che Otello ha citato.

 

«In maniera generale, tutti i musicisti pre-beethoveniani spaziano dentro un concetto tolemaico dell’universo, onde noi, per adeguarci a questa diversa e minore misura dell’universo, dobbiamo fare uno sforzo di riassorbimento e di retrogradazione mentale (…) Lui solo, Beethoven, non ci costringe a mutarci (…)».

 

Quì mi pare siamo vicini al fanatismo.

Probabilmente a dodici anni anch’io ero così assoluto. Perché negarlo. Dopo due anni già ero più cauto nei miei giudizi.

 

Apprezzo il sangue freddo di Thallo che giudica le affermazioni di Savinio «un po’ “forte”», «vaga e non argomentata», e al massimo parla di «frasettina».

 

A me, francamente, di fronte cose come il paragone tra epitaffio di Sicilo e l’opera bachina, per poi arrivare alla Panzerdivision… :o

Di fronte a queste affermazioni, mi è venuto in mente il giudizio sintetico di Fantozzi su La corazzata Potëmkin. :angry:

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