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Piano Concerto - Forum pianoforte

Il fatto che simili opere restino inaccessibili alla massa è forse una necessità


Frank
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Stavo leggiucchiando il libro di Hector Berlioz, serate d'orchestra. Si trova qualcosa on line su google books

 

http://books.google.......tà"&f=false

 

Ero indeciso se procurarmelo e sono rimasto colpito da qusta frase

 

"Il genere di impopolarità che tocca a queste meravigiose ispirazioni è un male inevitabile. Ma è davvero un male?... Direi di no. Il fatto che simili opere restino inaccessibili alla massa è forse una necessità. Esistono talenti ricchi di fascino, di brio e di forza che sono destinati, se non al popolino, per lo meno al terzo stato delle intelligenze. Ma sommi geni come Beethoven sono stati creati da Dio solo per cuori e menti sovrane."

 

In particolare penso si riferisca ai quartetti

 

E' esattamente quello che penso sulla questione, voi come vi ponete sull'argomento?

 

 

PS

Questo forse da un altro punto di vista a Pio

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"Il genere di impopolarità che tocca a queste meravigiose ispirazioni è un male inevitabile. Ma è davvero un male?... Direi di no. Il fatto che simili opere restino inaccessibili alla massa è forse una necessità. Esistono talenti ricchi di fascino, di brio e di forza che sono destinati, se non al popolino, per lo meno al terzo stato delle intelligenze. Ma sommi geni come Beethoven sono stati creati da Dio solo per cuori e menti sovrane."

 

 

domande sparse: cosa intendiamo con cuori e menti sovrane?

Tutti i cuori e le menti sovrane amano Beethoven? Cioè, è impossibile che esista una persona intelligente, sensibile a cui NON piaccia Beethoven?

Tutti quelli a cui piace Beethoven sono cuori e menti sovrani? "Ti piace Beethoven?" "Sì" "Ah, allora sei una persona meravigliosa!".

Ed è possibile che tutte le volte i discorsi in cui si parla di stupenditudine riguardino una cosa che casualmente piace anche a noi? A Berlioz piace Beethoven e, casualmente, Berlioz pensa che quelli che amano Beethoven sono dei grandi. A Frank piace Beethoven e Frank cita la stessa frase ;-)

facciamo uno sforzo di umiltà e troviamo belle persone a cui NON piace Beethoven, autori considerati meravigliosi che a noi NON piacciono e autori penosi che a noi piacciono...

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Ciao Frank, mi fa piacere ritrovarti!

Penso che tutte le frasi vadano comunque sempre contestualizzate nel periodo storico in cui vengono pronunciate.

L'affermazione di Berlioz va vista in pieno romanticismo e risente di quella tipica enfasi. Il rapporto poi del mondo musicale del dopo Beethoven con il compositore di Bonn fu molto contraddittorio. Da un lato un 'incomprensione di fondo per quasi tutte le opere dei suoi ultimi anni – non dico “terzo stile” perché ad Armando non piace – troppo innovativo e avanti con i tempi. Molti compositori infatti fecero riferimento allo “stile eroico”, partendo ad esempio solo dai Quartetti dell'Opus 59.

Per comprendere appieno questo rapporto, molte sintomatiche sono le frasi di tre protagonisti del dopo Beethoven. Franz Schubert disse: « Beethoven sa tutto, ma noi non possiamo ancora tutto comprendere e scorrerà anche molta acqua nel Danubio prima che tutto ciò che questo uomo ha creato sia universalmente compreso. Non soltanto egli è il più sublime e fecondo dei musicisti; è anche il più forte. Egli è altrettanto forte nella musica drammatica e in quella epica; nella lirica e nella prosaica; in una parola , egli può tutto. Mozart sta a lui come Schiller a Shakespeare. Schiller è già compreso, Shakespeare non lo sarà ancora per lungo tempo. Tutti comprendono già Mozart; nessuno comprende Beethoven. »

In aggiunta di quanto da te riportato e sempre sugli ultimi quartetti, sempre Hector Berlioz affermò: « (...) L'altro giorno ho ascoltato uno degli ultimi quartetti di Beethoven (...) c'erano quasi trecento persone; fummo in sei soltanto a sentirci tramortiti dall'intensità dell'emozioni provate, e inoltre noi sei fummo gli unici a non trovare questa composizione assurda, incomprensibile, barbara. La sua musica ha raggiunto altezze tali che ci sentimmo mancare il respiro (...). Si tratta di una musica adatta – soltanto – a lui e a quelli di noi che lo hanno seguito nelle altezze incommensurabili del suo genio.(...) »

Clara Schumann il 24 novembre del 1842 nel diario scritto assieme al marito Robert, così appuntò: « (...) Provo un sentimento del tutto personale per entrambi questi grandi maestri, Beethoven e Mozart. Mozart lo amo in modo particolare, Beethoven però lo venero come un Dio, ma un Dio inaccessibile, che non diventa mai parte di noi.(...) »

Ecco Frank, «un Dio inaccessibile, che non diventa mai parte di noi.» penso che sia la frase che meglio di ogni altra possa riassumere il sentimento di adorazione, soggezione e incomprensione che caratterizzò i successori di Beethoven. Se pensiamo che la Grande Fuga Opus 133 fu giudicata ancora ineseguibile nel 1911 e fu rieseguita solo nel 1927, nel centenario della morte del compositore, possiamo ben comprendere come fu ostico e difficile il cammino del rapporto con l'ultimo Beethoven.

Oggi non ha più senso parlare di questi sommi capolavori in questa maniera. Beethoven è il compositore universale per antonomasia e appartiene a tutti, anche a quelli a cui non piace.

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Ciao Daniele, reciproco piacere averti ritrovato.

 

Beethoven è il compositore universale per antonomasia e appartiene a tutti, anche a quelli a cui non piace.

Non so se insistere, ma insisto :)

 

Io leggo

"Il fatto che simili opere restino inaccessibili alla massa è forse una necessità"

 

Accessibilità prevede un ragionamento diverso dal gusto, ok che come moltissimi compositori del secondo '900 potrei quasi definirmi post-romandico (e dico post, non neo...eh!), però le parole hanno un senso.

 

Berlioz parla di intelligenza, genialità...tutti aspetti che non rientrano nella sfera del gusto. Secondo voi c'è qualcuno di una platea popolare in grado di capire la grande fuga? Lo chiedo perchè spesso si incontrano addetti ai lavori che faticano ancora con quell'ascolto...

 

Che poi Berlioz sia spinto anche da un empatia con la musica di Beethoven o comunque che gli paiccia è un altro discorso. Le sue parole non mi sembra che mettano di mezzo il gusto.

 

Altra domanda, secondo voi un musicista tipo Berio, che scrive la sequenza III, non pensate che sotto sotto nasconda (o mostra) l'ambizione di scrivere qualcosa che dica: "Adesso arrivateci a questo..."?

 

Tanto pour parler...

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Anch'io ho poco tempo, ma ce la faccio a sottolineare un problema. Il "gusto" non si limita al "mi piace/non mi piace". Parliamo di un'accezione allargata del termine gusto, intesa, appunto, come capacità di comprendere e recepire l'elemento artistico di qualcosa. Quando Berlioz parla di comprensione non penso parli di comprensione razionale, del lato tecnico delle composizioni, per esempio. Per altro non esiste comprensione razionale senza comprensione artistica, a quei livelli. Cioè, non mi serve "sapere" che lì c'è una cadenza d'inganno, mi serve "capire" a cosa serve all'interno del discorso musicale e rapportare questa comprensione ad un livello estetico. Capirne la bellezza, o l'utilità a fini artistici, insomma. Anche per questo a me sembra ovvio che Berlioz stia parlando di qualcosa che gli piace e, in termini romantici, sta dando un peso quasi metafisico a questo suo apprezzamento.

Ma stiamo attenti. Una cosa è parlare in modo storico di queste affermazioni, contestualizzandole, un'altra è prenderle come modello per affrontare il discorso valore-disvalore o diffusione-oblio. Se lasciamo tutto sul livello del gusto, possiamo al massimo arrivare a dire che ci sono molte persone senza gusto e poche con gusto. Ma se la mettiamo su livelli più pesanti, tipo quello mistico-metafisico o anche un semplice livello di intelligenza, arriveremo a dire che chi capisce Beethoven è scelto da dio (che è un po' quello che dice Berlioz) o che chi capisce Beethoven è più intelligente degli altri.

Vogliamo teorizzare la superiorità antropologica di chi ama e/o capisce Beethoven? Si finisce sempre lì, non riusciamo a non dire di essere superiori...

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Provo a dire la mia. Forse "chi ama" è diverso da "chi capisce". Quanti sono in grado di capire la DIvina Commedia? Tanto più di concepirla? Io non ci leggo essere superiori, ma più semplicemente penso che non tutte le cose ... sono per tutti. E non parlo solo della musica.

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Non so se insistere, ma insisto :)

 

Io leggo

"Il fatto che simili opere restino inaccessibili alla massa è forse una necessità"

 

Accessibilità prevede un ragionamento diverso dal gusto, ok che come moltissimi compositori del secondo '900 potrei quasi definirmi post-romandico (e dico post, non neo...eh!), però le parole hanno un senso.

 

Berlioz parla di intelligenza, genialità...tutti aspetti che non rientrano nella sfera del gusto. Secondo voi c'è qualcuno di una platea popolare in grado di capire la grande fuga? Lo chiedo perchè spesso si incontrano addetti ai lavori che faticano ancora con quell'ascolto...

 

Che poi Berlioz sia spinto anche da un empatia con la musica di Beethoven o comunque che gli paiccia è un altro discorso. Le sue parole non mi sembra che mettano di mezzo il gusto.

 

Altra domanda, secondo voi un musicista tipo Berio, che scrive la sequenza III, non pensate che sotto sotto nasconda (o mostra) l'ambizione di scrivere qualcosa che dica: "Adesso arrivateci a questo..."?

 

 

Si Frank capisco il tuo punto di vista, ma scusami se insisto sull’esigenza di contestualizzare il discorso. Quando Berlioz pronunciò quelle parole, i teatri. i salotti dove la musica era eseguita erano frequentati solo dalla borghesia e dalle classi sociali più alte: Il popolo, cioè il proletariato e il sotto-proletariato – perché è di questo che si deve parlare - e dunque la stragrande maggioranza delle genti, non poteva accedervi e dunque conoscere una qualsiasi di quelle musiche.

Quel pubblico di cui Berlioz si lamenta è sostanzialmente lo stesso – come maturità culturale e musicale - che vent’anni prima, all’esecuzione della Grande Fuga fischiò e criticò aspramente il pezzo e a cui Beethoven rispose con un “Bestie, asini”.

Come ho già detto da altra parte, oggi la musica – tutta la musica da Perotin a Berio – è disponibile per chiunque voglia accostarvisi, e dunque chiunque abbia un po’ d’inclinazione alla materia sonora può cercare di accedervi. E’ questa la grande differenza, e lo dico a ragion veduta visto che io vengo da quel popolo, sono una persona profondamente ignorante e però, nella mia vita, ho cercato e cerco tutt’ora di togliermene da addosso un po’

Se oggi riesco ad ascoltare la Grande Fuga e allo stesso tempo la Sequenza III di Berio è solo perché ho fatto – metaforicamente – sanguinare le mie orecchie e perché volevo arrivare lì, ad ascoltare e amare tutta la “musica colta –“ –scusate se continuo a chiamarla così B) -.

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Se oggi riesco ad ascoltare la Grande Fuga e allo stesso tempo la Sequenza III di Berio è solo perché ho fatto – metaforicamente – sanguinare le mie orecchie e perché volevo arrivare lì, ad ascoltare e amare tutta la “musica colta –“ –scusate se continuo a chiamarla così B) -.

 

Se ci pensi bene è il succo della questione. Deduco che tu sei per "volere è uguale a potere"

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... evidentemente il "voglio" troppo poco per "potere" essere come Gould o Pollini ;)

 

Anche io lo dico sempre e ci credo molto ne volere è uguale a potere, ma ci sono cose che non sono per tutti. Io non riuscirei anche studiando 6 vite a scrivere la Divina Commedia...visto che è stata citata.

 

Comunque sia, capisco e condivido molto il tuo punto di vista. Resta il fatto che personalmente parlando, so bene che più colto è il linguaggio che userò e maggiormente si assottiglierà il numero di coloro che saranno disposti ed avranno la capacità di farsi sanguinare le orecchie.

 

Chiaramente qui non stiamo parlando di Beethoven ma anche in generale…però se ci pensi bene …proprio contestualizzando come richiedi, ci sono cose che richiedono una sedimentazione collettiva molto ampia, talmente ampia che la musica da Webern (compreso) in poi richiede, in molti casi, uno scudo protettivo. Parlo dei più e non degli addetti ai lavori, come me te, etc.

 

Io penso che non esista al mondo compositore che non sia fondamentalmente narcisista, la sua mission è comunicare, però lo stesso deve lasciare il tempo che le peculiarità del suo linguaggio penetrino gradualmente nel contesto culturale. Un ampio divario fra suo linguaggio e quanto “storicizzato” (passatemi la forzatura) decreta un fallimento (che è quello che sostanzialmente è capitato allo strutturalismo), fallimento perché si scrive per un unico spettatore…l’unico che si vede allo specchio (che è pure un’iperbole sul narcisismo). Praticamente uno se la suona e se la canta da solo.

 

Il numero di ascoltatori al quale un “messaggio” può arrivare dipende da quanto si avvicina alla capacità collettiva di arrivare…tendenzialmente, oggi come oggi, non ci sono molti a essere disposti a farsi sanguinare le orecchie per ascoltare un brano ;) Che sia all’epoca Beethoven oppure oggi Ferneyhough…

 

Discorso interessante ma complesso…

 

... ma dimmi tu...

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“Volere è potere” fermo restando che ognuno di noi deve essere conscio di quelli che sono i suoi limiti intellettivi, culturali, fisici e via dicendo, a cui tutti, dobbiamo comunque sottostare.

Di Dante Alighieri, Leonardo, Michelangelo... Beethoven – questo lui lo gridò anche al principe Lichnowsky – ce ne sono stati solo uno.

Nella consapevolezza dunque dei miei infiniti limiti so dove fin posso voler arrivare...ma lì ci voglio poter arrivare.

Frank, io non sono un addetto ai lavori sono un semplice fruitore di musica, di arte, di letteratura, di filosofia etc., e da fruitore ti dico che seppur è vero che faccio parte di quei pochi ascoltatori della musica contemporanea, questo non toglie che la “costanza della ragione” - come l'avrebbe definita lo scrittore Vasco Pratolini - e dunque la perseveranza nella convinzione che questa sia la strada giusta, non deve mai venire meno. Beethoven fu completamente consapevole che la sua musica – soprattutto la sua ultima musica - sarebbe stata per le generazioni future. E così come vaticinò 50 anni affinché la sua Hammerklavier fosse compresa – era anche troppo ottimista in realtà – e che la sua Grande Fuga per arrivare ad essere considerata da uno come Stravinskij: « il più perfetto miracolo di tutta la musica » ha dovuto aspettare un secolo i compositori di oggi devono essere consapevoli che la loro musica sarà delle generazioni future.

Non ho palle magiche e non so cosa sarà fra un secolo ma vedo che oggi la musica di Webern e della seconda scuola di Vienna – che ormai si può definire classica anche quella – fa breccia fra i pur sempre pochi giovani che si avvicinano alla musica colta. Ci è voluto meno di un secolo e forse fra trent'anni sarà completamente assimilata.

Dove andrà il mondo futuro? Domanda che non può avere risposta ovviamente! Spero per i miei figli e per le generazioni che verranno che vada verso una civilizzazione sempre maggiore e, la civiltà, caro Frank, è fatta soprattutto di grande cultura.

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Tutti gli interventi che ho letto finora mi paiono interessanti. Nelle parole di Frank sento lo stesso convincimento shakesperiano (che peraltro condivido molto) secondo il quale bisognerebbe diffidare di coloro che non amano la musica (e quale musica, aggiungerei). Ma certo Thallo ha ragione: è piuttosto insensato ritenere che le migliori persone siano soltanto quelle a cui piace Beethoven. Infine, mi è impossibile non nutrire molti degli stessi convincimenti di Daniele Scarpetti, soprattutto quello secondo il quale l'eventuale miglioramento della condizione umana dipenda esclusivamente da una maggiore civilizzazione e dunque da una sempre più grande capacità di rispetto degli esseri umani fra di loro.

Per tutte queste ragioni, mi è difficile allora comprendere il titolo della discussione: perché mai una certa scarsa diffusione dell'opera beethoveniana dovrebbe costituire una necessità? Non è piuttosto invece una povertà, della quale, in qualche misura e ciascuno nel proprio ambito, siamo un po' tutti responsabili?

Grazie per la vostra attenzione.

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“Volere è potere” fermo restando che ognuno di noi deve essere conscio di quelli che sono i suoi limiti intellettivi, culturali,

fisici e via dicendo, a cui tutti, dobbiamo comunque sottostare.

Io penso che non vogliamo ammetterlo ... ma la musica dei grandi va oltre i limiti, inutile girarci intorno e proprio perchè l'invito è di contestualizzare nel tempo le parole di Berlioz. E in effetti:

 

 

Beethoven fu completamente consapevole che la sua musica – soprattutto la sua ultima musica - sarebbe stata per le generazioni future. E così come vaticinò 50 anni affinché la sua Hammerklavier fosse compresa – era anche troppo ottimista in realtà – e che la sua Grande Fuga per arrivare ad essere considerata da uno come Stravinskij: « il più perfetto miracolo di tutta la musica » ha dovuto aspettare un secolo i compositori di oggi devono essere consapevoli che la loro musica sarà delle generazioni future.

 

Alt! Stravinskij è un addetto ai lavori, chiedilo al panettiere ;). Il topic, per rispondere anche ad Otello, parla di masse non a caso. O meglio, è un estratto del pensiero di Berlioz che ha aperto questa mia/nostra riflessione, ma a costoro sta pensando. Per cui, che lo dica il fruttivendolo di turno. Sempre con rispetto parlando.

 

 

 

e da fruitore ti dico che seppur è vero che faccio parte di quei pochi ascoltatori della musica contemporanea, questo non toglie che la “costanza della ragione” - come l'avrebbe definita lo scrittore Vasco Pratolini - e dunque la perseveranza nella convinzione che questa sia la strada giusta, non deve mai venire meno.

 

Adesso chiedo, per godere (sottolineo godere) dell'arte, bisogna faticare? Io devo conoscere per poter apprezzare? Devo capire il meccanismo per accedere a quella musica "colta"? Allora

 

Spero per i miei figli e per le generazioni che verranno che vada verso una civilizzazione sempre maggiore e,

la civiltà, caro Frank, è fatta soprattutto di grande cultura.

Ecco, certo, su questo non ci sono dubbi e sono molto d'accordo ;)

 

Ma più rileggo i tuoi scritti e più sembra che tu dia ragione a Berlioz, se tutti gli ascoltatori fossero di grande cultura, avremmo un popolo colto. E allora la musica colta sarebbe per tutti...ma tutti coloro che soddisfano questo requisito. Ecco, adesso è più chiaro tutto, le masse non sono e non sono mai state colte. Quando lo saranno (speriamo presto), allora lo scritto di Berlioz perderà senso...

 

Diciamo che sul potenziale il discorso sta in piedi, ma praticamente parlando ...mi sto guardando intorno, la vedo dura ...

 

 

Cosa ne dici a tal proposito?

 

Aggiungo

 

Non ho palle magiche e non so cosa sarà fra un secolo ma vedo che oggi la musica di Webern e della seconda scuola di Vienna – che ormai si può definire classica anche quella – fa breccia fra i pur sempre pochi giovani che si avvicinano alla musica colta.

 

 

Neanche io ma un pronostico si può fare.

 

Schoenberg e Berg si, ma Webern no. Il motivo è semplice, quest ultimo ha gettato le basi per l'estetica del '900 negli anni a seguire la sua musica. Lui ha minato e demolito il decorso narrativo, la caratteristica che permette alla musica di essere ricordata, senza questa caratteristica a sanguinare non dovrebbero più essere le orecchie ma il cervello.

E Schoenberg per evitare questo problema non si è discostato di molto dalla tradizione, si, ha cambiato la sintassi, ma in forme completamente tradizionali e con un linguaggio pressochè contrappuntistico e quindi ben sedimentato.

 

 

 

Ci è voluto meno di un secolo e forse fra trent'anni sarà completamente assimilata.

Di sicuro, lo spero, ma la sperimentazione avanguardistica degli anni '950/'990 la vedo molto distante da questo obiettivo, probabilmente resterà imbrigliata nei libri di storia e sarà solo oggetto di analisi per studiosi.

Il novecento ha svelocizzato tanti processi, compreso il fatto che un genere di musica sopravviva o sccomba sotto i suoi limiti...riferendomi alle masse. Secondo me non è un caso che ci si fermi a Berg e che affiorino musicisti come Messiaen a discapito dei compositori osannati soprattutto dal mondo accademico, presumibilmente colto (guarda caso).

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Tutti gli interventi che ho letto finora mi paiono interessanti.

Argomomento interessante, penso sia normale che convivano diversi punti di vista, sostenibili, in base a quale rovescio della medaglia vada a guardare. Fra l'altro stimo molto Daniele, Thallo, per cui scrivo come se ragionassi ad alta voce raccogliendo appunto il parere di altri sulla questione.

 

Per tutte queste ragioni, mi è difficile allora comprendere il titolo della discussione: perché mai una certa scarsa diffusione dell'opera beethoveniana dovrebbe costituire una necessità?

 

Non è piuttosto invece una povertà, della quale, in qualche misura e ciascuno nel proprio ambito, siamo un po' tutti responsabili?

 

Come dicevo è più un estratto del pensiero di Berlioz. Forse rispondo nel mio precedente scritto

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Thallo, ascolterò con calma, ma visto che usi l'aggettivo "mie", come ti classifichi come ascoltatore? E non mi dire della massa ... perchè non saresti onesto.

 

 

Te lo dico, perchè intervisterò sui brani che hai proposto la famiglia dei miei vicini...non addetti ai lavori e non colti per niente.

 

Non dimenticare di classificare anche la tua micia, che penso sia un po' fuori categoria :D

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Hai ragione, Frank: le masse non sono mai state colte. Aggiungerei che le stesse masse sono sempre state propense (e spesso usate, in questo senso) alle generalizzazioni. Che discendono direttamente dalla pigrizia di ritenere che, per qualche misteriosa ragione, vivere debba costare fatica solo agli altri, non a noi (che sta per me, per te, per le masse). Hai correttamente affermato che i compositori desiderano comunicare molto di se stessi agli altri. Aggiungerei che essi hanno forse una fortuna (il talento, la voglia di affaticarsi nello studio) che tantissimi altri non hanno. Ma è poi una loro fortuna o piuttosto non più esatto ritenere che il giovamento sia soprattutto di chi fruisce del loro talento (questo detto en passant)?

Certo, dunque, i compositori desiderano comunicare. Come tutti noi, d'altro canto. E tanto i compositori (quanto noi) desiderano che la loro comunicazione sia la più estesa possibile, non fosse altro che per appagare il proprio narcisismo. Allora è inutile girarci intorno: si comunica per cercare i propri simili. Se siano pochi o tanti è questione secondaria. Noi esseri umani dimentichiamo troppo spesso due semplicissime verità: la prima, è che siamo destinati a morire; la seconda, è che proveniamo evidentemente dall'infinito e che ritorneremo nell'infinito, la qual cosa ci collega inevitabilmente a tutto. Anche alle masse. Mi permetto di credere che Beethoven percepisse come pochi questo dato di fatto. Altrimenti non avrebbe potuto donarci così tanto.

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Un saluto a tutti,

a Daniele Scarpetti e Armando Orlandi in particolare (che conoscevo già dal precedente forum del sito di Armando) ma un «grazie!» a tutti per i vostri pensieri, i vostri spunti che leggo da alcuni giorni. Quest'ultimo argomento mi ha invogliato a portare qualche riflessione anche da parte mia.

 

Quando ho letto nell'itervento di Thallo del 31 gennaio che il gusto non è solo questione di «mi piace/non mi piace» ma che vada anche inteso «come capacità di comprendere e recepire l'elemento artistico di qualcosa» mi è tornato un pensiero avuto qualche anno fa.

 

Che sul gusto (sui gusti) non si debba discutere, è un imperativo che non porta da nessuna parte: a nessuna crescita. Sui gusti si deve discutere. Con rispetto. Ognuno di noi, in un monologo interiore, sui propri gusti “discute”. È vero che al cuore non si comanda. Ma questo non vuol dire che “la testa” non abbia diritto di chiere “al cuore” di rendere un po' conto (anche senza dettagliare) delle proprie scelte. A me capita di chiedermi cosa ci trovo in quel concerto di Corelli (ad esempio) che mi incanta: cosa ci trovo che in altri brani non trovo così, o trovo con sfumature diverse.

 

Capita a volte di essere i più severi giudici di se stessi (almeno, a me è capitato). Venti anni fa non apprezzavo le Variazioni Goldberg, eppure sono un capolavoro. Pure le Diabelli fino a quattro anni fa non è che mi fossero . . . così vicine. Eppure sono un capolavoro, eppure adoro Beethoven... cos'è che non capivo? Cosa avevo che non andava?

 

Non è possibile, secondo voi, che nel rapporto estetico con un'opera d'arte (qualsiasi, anche non musicale), ci sia un fattore di affinità spirituale? . . . io penso di sì.

 

Certo, un minimo di erudizione in materia aiuta, ma non può essere la garanzia di un “buon matrimonio” (tra l'ascoltatore e l'opera in questione). Chi è in gradi di “vivisezionare” la Grande Fuga op.133 a livello formale armonico contrappuntistico, non è detto che ne sia poi veramente . . . toccato nel profondo.

 

Penso che ci siano esperienze, percorsi di vita, di vedute (tutte cose che ognuno di noi porta dentro e che sono in continua evoluzione) che a seconda del fatto che facciano o non facciano parte del nostro vissuto, ci consentono o ci negano un rapporto “cordiale” con una determinata opera (a volte con tutta l'opera di un compositore, o di una determiata epoca, o di un determinato stile). Tutto ciò a prescindere dal fatto di essere in grado di riconoscerne il valore storico e le dinamiche interne a livello strutturale.

 

Il gusto (il godimento di una determinata opera) mi pare una 'sintonia spirituale': a volte c'è, a volte non c'è, a volte può scoccare dopo anni di incomprensione, a volte proprio non c'è nulla da fare.

 

Questa mia stessa idea, mi pare di indovinare nelle parole di Bernstein riferite alla comprensione della musica di Mahler

« (…) solo ora, dopo due guerre mondiali, dopo le barbarie perpetrate dal nazismo e dal comunismo, dopo l'olocausto, la guerra del Vietnam e la strage dei giovani in Cina, ecco proprio dopo tutto questo noi siamo ora veramente in grado di ascoltare la musica di Mahler in modo più cosciente, di comprenderne il significato e il valore profetico.»

[L. Bernstein – E. Castiglione, Una vita per la musica – conversazioni, Ed. Pantheon, 2003, p. 124]

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Ma più rileggo i tuoi scritti e più sembra che tu dia ragione a Berlioz, se tutti gli ascoltatori fossero di grande cultura, avremmo un popolo colto. E allora la musica colta sarebbe per tutti...ma tutti coloro che soddisfano questo requisito. Ecco, adesso è più chiaro tutto, le masse non sono e non sono mai state colte. Quando lo saranno (speriamo presto), allora lo scritto di Berlioz perderà senso...

 

Diciamo che sul potenziale il discorso sta in piedi, ma praticamente parlando ...mi sto guardando intorno, la vedo dura ...

 

 

Cosa ne dici a tal proposito? (Frank)

 

Hai ragione, Frank: le masse non sono mai state colte. Aggiungerei che le stesse masse sono sempre state propense (e spesso usate, in questo senso) alle generalizzazioni. Che discendono direttamente dalla pigrizia di ritenere che, per qualche misteriosa ragione, vivere debba costare fatica solo agli altri, non a noi (che sta per me, per te, per le masse). (...) Allora è inutile girarci intorno: si comunica per cercare i propri simili. Se siano pochi o tanti è questione secondaria. Noi esseri umani dimentichiamo troppo spesso due semplicissime verità: la prima, è che siamo destinati a morire; la seconda, è che proveniamo evidentemente dall'infinito e che ritorneremo nell'infinito, la qual cosa ci collega inevitabilmente a tutto. Anche alle masse. Mi permetto di credere che Beethoven percepisse come pochi questo dato di fatto. Altrimenti non avrebbe potuto donarci così tanto (Otello)

 

Buongiorno Frank e innanzi tutto ciao Otello, - al mio caro amico Luca mi dedicherò dopo, tanto lui non si offende - molto piacere di conoscerti virtualmente!

Penso che le masse siano sempre state volutamente tenute nella più profonda ignoranza e questo perché il potere – qualsiasi potere – ha il suo tornaconto che così sia. Non è dunque una questione di pigrizia: le masse hanno dovuto, nel corso dei secoli fare fatiche di ben altro spessore e ben più umilianti e ingiuste.

Alle masse non è stato mai permesso di accedere alla cultura questo però è avvenuto, volere o volare, con il Novecento, con il trionfo della tecnologia da una parte e, dall'altra delle “democrazie” - notare le virgolette - almeno nella nostra parte di mondo. Noi siamo le prime generazioni che sono completamente esenti dall'analfabetismo e che possono avere una visione reale su tutta la storia e tutta la cultura dell'umanità.

Ho già riportato da altra parte quanto il maestro Sciarrino afferma circa la fruizione e l'accesso all'arte che costa fatica, studio, passione tempo e qui, lo riconfermo. Ma la grande differenza sta nel fatto che oggi tutti possiamo avere i mezzi per potervi accedere ed ogni alibi – se così lo possiamo definire - è caduto. Le prossime generazioni, in base alle loro scelte, potranno dunque essere acculturate in maniera esponenziale rispetto all'altro ieri e anche all'oggi. La scelta, ripeto, sarà dettata solo da loro e dalla loro capacità di non lasciarsi influenzare da un “Grande fratello” che, emanazione del solito potere, cercherà di sviarle per altre strade più consone e meno pericolose per la non messa in discussione del suo perpetrarsi all'infinito. Se si faranno incantare da quel potere, nonostante tutto, o se, viceversa, vorranno veramente prendere in mano il loro destino, dipenderà solo da loro. Una cosa è certa per me: senza la CONOSCENZA questo non potrà mai avvenire!

A quel punto il discorso di Berlioz esaurirà veramente la sua valenza, ma... Frank, i mezzi per far sì che ciò avvenga son già tutti qui.

Quanto a Beethoven? Ecco io penso che tutti gli artisti farebbero bene a ritornare allo spirito beethoveniano e vedere il loro “poter e saper fare” - dote che a non tutti è data e soprattutto a non tutti in dose eccelsa - come una missione per l'umanità.

Già fin da giovane il compositore di Bonn scrisse in una lettera quello che fosse il dovere primario di un'artista: « Non c’è quasi trattato che sia troppo dotto per me. Senza presumere di possedere una vera erudizione, io mi sono sforzato sin dall’infanzia di comprendere il pensiero degli uomini migliori e più saggi di ogni tempo. Vergogna all’artista che non considera una colpa il non spingersi almeno tanto lontano. ». Lui, che fra gli arti adorò Omero, trascrisse sui suoi quaderni quel principio ferreo che lo contraddistinse in tutta la sua vita artistica:

 

«Ma ora mi afferra il destino!

Non lasciarmi cadere nella polvere senza lotta e inglorioso,

non prima che io abbia compiuto grande imprese,

delle quali sapranno anche le generazioni future.»

 

Questa fu la sua maniera di « afferrare il destino alla gola »

Le « imprese delle quali sapranno anche le generazioni future » che un'artista deve tramandare è il suo prodotto, il suo saper perseverare nella convinzione che quello che sta facendo, seppur largamente incompreso, osteggiato, economicamente non sufficiente– mettiamoci pure anche quello – è nel GIUSTO.

Il grandissimo poeta tedesco Friedrich Hölderlin, poeta amato molto da Beethoven che lo studiò ampiamente nel comporre la Sinfonia Pastorale, scrisse nel settembre 1793, queste parole che sarebbero potute essere anche di Beethoven e che, ancora oggi, a distanza di due secoli, hanno, dal mio punto di vista una valenza veramente eccezionale: « Il mio cuore è per la razza umana (...) Amo il popolo dei secoli che verranno, Perché questa è la mia più dolce speranza, la fede che mi dà la forza e operosità, che i nostri discendenti saranno migliori di noi. (...) Viviamo in un'epoca in cui tutto lavora per giorni migliori (...) Questo è il termine sacro dei miei desideri e della mia attività: ridestare nel nostro tempo i germi che nel futuro giungeranno a maturazione.»

 

Stravinskij è un addetto ai lavori, chiedilo al panettiere (Frank)

 

Capita a volte di essere i più severi giudici di se stessi (almeno, a me è capitato). Venti anni fa non apprezzavo le Variazioni Goldberg, eppure sono un capolavoro. Pure le Diabelli fino a quattro anni fa non è che mi fossero . . . così vicine. Eppure sono un capolavoro, eppure adoro Beethoven... cos'è che non capivo? Cosa avevo che non andava?

 

Non è possibile, secondo voi, che nel rapporto estetico con un'opera d'arte (qualsiasi, anche non musicale), ci sia un fattore di affinità spirituale? . . . io penso di sì.

 

Certo, un minimo di erudizione in materia aiuta, ma non può essere la garanzia di un “buon matrimonio” (tra l'ascoltatore e l'opera in questione). Chi è in gradi di “vivisezionare” la Grande Fuga op.133 a livello formale armonico contrappuntistico, non è detto che ne sia poi veramente . . . toccato nel profondo.

 

Penso che ci siano esperienze, percorsi di vita, di vedute (tutte cose che ognuno di noi porta dentro e che sono in continua evoluzione) che a seconda del fatto che facciano o non facciano parte del nostro vissuto, ci consentono o ci negano un rapporto “cordiale” con una determinata opera (a volte con tutta l'opera di un compositore, o di una determinata epoca, o di un determinato stile). Tutto ciò a prescindere dal fatto di essere in grado di riconoscerne il valore storico e le dinamiche interne a livello strutturale. (Luca)

 

Luca, mio caro amico, lo sapevo – lo speravo! - che saresti arrivato, qui ti troverai in OTTIMA COMPAGNIA.

Ho accostato queste due parti dei vostri discorsi perché tu Luca, rispondi già all'affermazione di Frank.

Caro e stimatissimo Frank, Luca non è il panettiere ma è un ragazzo – ehm, ora non lo è più a dir la verità - che come me è venuto su dal niente e che però a differenza di me è diventato un pianista ed è la dimostrazione di come un ragazzino che non ha alle spalle una cultura musicale può con la propria volontà – solo con quella – accostarsi piano piano alla grande musica.

Ma sarà lui a parlare di sé se vorrà.

Premesso che è vero che Stravinskij è un addetto ai lavori, ma altrettanto lo fu quel Tovey che nel 1911 – e cioè qualche decennio prima appena – giudicò la Grande Fuga « ineseguibile », il panettiere, se vuoi, sono io. O meglio, sono il contadino, l'operaio, il manovale...e tutto ciò che vuoi, che però pur non studiando per nulla a scuola – e questo anche per rispondere a Claudio su quello che pensavo e penso della scuola - perché sono da sempre uno “contro”, poi mi richiudevo però in biblioteca o studiavo su testi extra-scolastici la storia, le arti, la letteratura e la filosofia.

Se oggi uno come me che non è nulla di particolarmente speciale può amare la musica di Monteverdi al pari di quella di Bach, Beethoven, Brahms, Wagner, Verdi, Webern, Stravinsliy, Nono, Berio, Boulez, - mi scuso per gli innumerevoli non citati - vuol dire che questo è nelle possibilità, non dico di tutti, ma di molti sicuramente.

 

Ci è voluto meno di un secolo e forse fra trent'anni sarà completamente assimilata. (Daniele)

 

Di sicuro, lo spero, ma la sperimentazione avanguardistica degli anni '950/'990 la vedo molto distante da questo obiettivo, probabilmente resterà imbrigliata nei libri di storia e sarà solo oggetto di analisi per studiosi.

Il novecento ha svelocizzato tanti processi, compreso il fatto che un genere di musica sopravviva o soccomba sotto i suoi limiti...riferendomi alle masse. Secondo me non è un caso che ci si fermi a Berg e che affiorino musicisti come Messiaen a discapito dei compositori osannati soprattutto dal mondo accademico, presumibilmente colto (guarda caso).

 

Anche su questo io voglio essere discretamente ottimista. Il 6 ottobre è stato consegnato a Venezia, il Leone d’oro alla carriera al compositore e direttore d’orchestra Pierre Boulez ormai ultimo fra i compositori viventi di quella che fu definita l'Avanguardia di Darmstadt. Questo insigne riconoscimento seppur tardivo, viene a premiare uno dei massimi compositori del Novecento e, probabilmente oggi, il più grande vivente - lo dico con rispetto parlando verso tutti gli altri compositori –. In quella serata sono state eseguite di Boulez “Incises” del 1994 per pianoforte e “sur Incises” per 3 pianoforti, 3 arpe e tre percussioni del 1996, dove l’arte magistrale della trasformazione sonora, molto tipica nel compositore francese, è pienamente messa in luce.

Io penso, caro Frank, che le cose si stiano muovendo e che il “buon senso” e la “giusta ragione” dovranno trionfare, prima o poi, e che anche questi grandissimi compositori avranno il posto che giustamente gli compete nell'ambito della storia della musica.

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Io penso che le cose si stiano muovendo e che il “buon senso” e la “giusta ragione” dovranno trionfare, prima o poi, e che anche questi grandissimi compositori avranno il posto che giustamente gli compete nell'ambito della storia della musica.

Io penso che ce l'abbiano già, ma forse non è questo il succo del discorso. Ho letto appassionatamente (e avidamente) il topic; ad un certo punto qualcuno (non mi ricordo chi, scusate, tante righe) parla di potenziale.

 

Esattamente, potenzialmente con internet tutti possono, ma quanti fanno come Luca o te Daniele, che non siete strettamente addetti ai lavori ma vi interessate profondamente ( :D ) di cultura.

 

E a dirla tutta penso che si dica addetti ai lavori per fare prima e per non essere” snob”, dicendo ad esempio “colti” o “non colti” …. ma la sostanza è la stessa: se uno ha studiato è colto altrimenti no, l’addetto ai lavori è in un certo modo “costretto” ad esserlo o meglio, è il suo mandato e ci sono comunque molti che fanno finta di niente. Per cui onore a voi e onorato di poter parlare con voi…ma una volta c’era la scusa che la massa veniva tenuta a bada e “pilotata”, i mezzi non c’erano, adesso uno può fare esattamente tutto quello che vuole (tornando al volere) fare…ma poi si fa? Conoscete la musichetta del pulcino pio? Disco d’oro…

 

Adesso ,prendete qualsiasi brano pubblicato in questo forum da qualsiasi forumista …dopo il disco d’oro cosa esiste? Spero che abbia reso bene l’idea.

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Il 6 ottobre è stato consegnato a Venezia, il Leone d’oro alla carriera al compositore e direttore d’orchestra Pierre Boulez ormai ultimo fra i compositori viventi di quella che fu definita l'Avanguardia di Darmstadt.

In realtà c’è anche un tal Krzysztof Penderecki. Non so se conosci la sua musica ma è di gran lunga più ascoltabile di Boulez, anche più “teatrale”, passatemi la forzatura.


 


Questo insigne riconoscimento seppur tardivo, viene a premiare uno dei massimi compositori del Novecento e, probabilmente oggi, il più grande vivente - lo dico con rispetto parlando verso tutti gli altri compositori

Fra i viventi può essere, visti gli ultimi decessi…ma non sottovaluterei gente come Arvo Pärt per intenderci, vedi la sua ultima produzione. Inoltre, parlando dei recentissimi scomparsi, il vero colosso è Messiaen….come si diceva, tagliato fuori dal mondo accademico…per cui il mondo colto per definizione.

Sempre pensando al secolo scorso, se dovessi tornare indietro non citerei nemmeno Boulez, più che altro Mahler. Chiaro che se dai il premio quando solo uno dei tanti è ancora vivo … ai voglia a tardivo riconoscimento.
Ricordiamoci che Morricone ha preso il premio nobel per la musica …
http://www.pianoconc...l-per-la-musica

…c’è evidentemente qualcosa che non funziona nel ragionamento e siamo sempre nell’era di internet! Eh!
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Il pulcino Pio e il premio Nobel a Morricone, annota Tiger. La musica, come le arti e lo spettacolo, è anch’essa soggetta di fatto alle cosiddette scelte di “mercato”. Dunque, sembrerebbe alle masse, per dirla con Frank. O ai molti incolti, se ho ben compreso il pensiero di Tiger.

“Mercato” è un termine che evoca molte suggestioni, una parola che vorrebbe intendere un concetto assai ampio. In realtà, “mercato” è un termine che non ha alcun significato, ma è utile solo a nascondere l’esistenza di gerarchie sociali, economiche e politiche che detengono un potere assolutamente incontrollato sulla società mondiale intera. La mitologia del “mercato” copre una realtà economica e politica nella quale il potere delle oligarchie è garantito da una quantità sterminata di protezionismi d’ogni genere.

Il “mercato” della musica, come qualsiasi altro, è nelle mani di affaristi privati. La musica professionistica si alimenta di operazioni commerciali senza alcuna concorrenza, perché i proprietari delle diverse società, che a vario titolo sono in questo business, si spartiscono gli enormi profitti che ne derivano. Tutti loro ne traggono vantaggio, perché i costi vengono pagati dal pubblico (che consuma spettacoli, dischi, edizioni librarie, gadget e abbigliamento connesso), dal lavoro di coloro che dipendono (in modo palese oppure occulto) da queste società, e molto spesso dai contribuenti tutti. L’istituzione politica è preposta al mantenimento di questi privilegi, e mai al loro smantellamento, semplicemente perché qualunque politico di professione dipende da gruppi affaristici.

L’Italia, più ancora degli altri paesi europei, è soggetta al potere degli Stati Uniti e dell’Alleanza atlantica. Le gerarchie “artistiche” rispecchiano inevitabilmente quelle delle diverse nazioni. Le maggiori multinazionali mondiali sono anglo-americane, svizzere e francesi. I russi sono superproduttori di materie prime. I paesi sudamericani stanno sfuggendo al controllo statunitense, perché i loro soci in affari, Russia ma soprattutto Cina, hanno sapientemente creato intorno a loro una fitta rete di protezioni.

Il vero continente scomparso oggi è dunque l’Europa, che paga un tributo enorme allo strapotere anglosassone in primo luogo, ma subisce anche le conseguenze della lotta infinita fra statunitensi da una parte e russi e cinesi dall’altra. Stabilito che la cultura, compresa quella musicale è sempre stata essenzialmente di matrice europea, non c’è dunque molto da stupirsi dello stato delle cose. In tutti gli ambiti.

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Si sta andando un po' a braccio...

visto che sono stati tirati fuori argomenti interessanti, aprite qualche altro topic, così ne parliamo approfonditamente. Non so, qualcosa sul dopo Darmstadt, o sull'etica del compositore (vedi Beethoven), o sul mercato e i riconoscimenti. E' un peccato perdere questi spunti, ma qui diventa tutto troppo "centrifugo" :-)

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