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Piano Concerto - Forum pianoforte

Ritmo: Concezione Europea Del Ritmo Contro Quella Delle Altre Culture


camy86
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Ragazzi, mi sono perso :rolleyes:

 

Ho letto tutto il topic di fila e trovo molta discontinuità...cioè, letti i singoli post possono pure avere una loro coerenza...ma qual'è il discorso generale?

 

Camy, riusciresti a fare una breve sintesi di cosa stiamo cercando...? ...

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Camy, riusciresti a fare una breve sintesi di cosa stiamo cercando...? ...

 

Ci provo.

 

Partiamo da due ipotesi: europeo=divisivo, non europeo=additivo.

 

 

Il ritmo divisivo è ripetitivo. Questo risulta dalla concezione degli accenti forti e deboli uniformi nel tempo.

 

 

Il ritmo additivo non è ripetitivo. Questo risulta dalla concezione degli accenti NON uniformi nel tempo. Questo concetto favorisce un'attitudine ritmica associata al parlato dove le sillabe sommate diventano parole.

Questo porta al concetto che ogni figura ritmica può essere associata ad un tipo di suono.

 

La due concezioni s'incontrano nello scorrere del tempo, ma sono due modi totalmente diversi d'intendere il ritmo.

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non è vero che il ritmo additivo è non ripetitivo. Forse potrà esserlo nel jazz, non so, ma nella musica indiana classica come nel minimalismo, ci sono schemi di ripetitività. Non è una metrica musicale classica, quella divisiva, appunto, ma può essere considerata una metrica, magari in senso poetico, considerando la metrica come un modello di ripetizione di schemi ritmici. Se prendiamo di nuovo quel 7/8 di cui si parlava, nella musica indiana, come nella musica minimalista, è possibile riconoscere delle macro-strutture dove quel 7/8 ha un ruolo, un posto in un più grande modello ritmico che, magari, fa seguire 6/8, 7/8 e 8/8, per dare, appunto, una percezione di addizione. Questi movimenti strutturanti "para-metrici" sono percepibili. In Philip Glass io li ho trovati. In genere viene considerata parte della tecnica di composizione modulare, di cui le varie tecniche additive (ritmiche e melodiche) fanno parte (almeno nel minimalismo). Pur rinnegando le classiche misure metriche, ne istituiscono altre.

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Certo hai ragione Claudio. Nel sintetizzare però si lascia sempre qualcosa in un argomento vasto. Ecco allora il mio intervento era implicitamente riferito al jazz (senza volerlo).

Riprovo a modificare quello che ho scritto.

 

Il ritmo divisivo è ripetitivo. Questo risulta dalla concezione degli accenti forti e deboli uniformi nel tempo. Un esempio può essere il basso albertino (a me suona con sillabe del tipo Ding din din din Ding din din din).

 

 

Il ritmo additivo parte da un'unita ritmica per costruire le figure ritmiche e poi distribuisce gli accenti nel tempo. Questo concetto favorisce un'attitudine ritmica associata al parlato dove le sillabe sommate diventano parole.

Questo porta al concetto che ogni figura ritmica può essere associata ad un tipo di suono, come nel parlato ogni combinazione di sillabe (parola) ha un suono diverso.

 

La due concezioni s'incontrano nello scorrere del tempo, ma sono due modi totalmente diversi d'intendere il ritmo.

 

La poliritmia è un concetto che mi è venuto involontariamente parlando del jazz, quindi non è detto che ci sia poliritmia usando il ritmo additivo: lì ho detto una cazzata.

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