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Piano Concerto - Forum pianoforte

pestatasti

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  1. A me sembra che abbiate frainteso (colpa mia, ovviamente). Non intendevo introdurre nessun derby ideologico tra tonalità e atonalità (e non mi sembra che ne sia uscito questo), quanto pormi delle domande sulle considerazioni di Celibidache, del resto oggetto del topic. Queste domande sono ingenue? Se avessi la Vostra cultura e sensibilità artistica non le avrei poste? Può darsi, infatti lungi dall’attaccare generi, chiedevo proprio dei lumi che peraltro, in parte, sembra siano usciti. Il livello della riflessione mi sembrava assolutamente adeguato ad un forum a libera ed anonima iscrizione. Se non è così diciamolo apertamente, ma non contestiamo la legittimità delle domande sul piano intellettuale. Se poi vogliamo chiederci generalità ed elencazione di titoli ed esami… Suggerire letture è la cosa più bella ed utile che si possa fare, pretenderne la conoscenza prima di parlare è la più odiosa. P.s. per rispetto dei proprietari, degli amministratori e moderatori di questo sito mi scuso anzitutto per le polemiche, che non amo ricevere e soprattutto non amo fare. Mi sono sempre sentito un ospite, qui, e spero di essermi comportato con l’educazione che a un ospite si conviene. A questo punto, tuttavia, nonostante l’anonimato, mi sento molto in imbarazzo per cui, oltre a ripromettermi di evitare altri interventi, comprenderò benissimo se mi si vorrà escludere.
  2. Scusami Simone, non è che voglio tirare trascinare discorsi oziosi. Però colgo alcune inesattezze che tenevo a precisare: - dicevo che la musica non dovrebbe essere sentita come "esoterica" (dove per esoterica si intende una pratica riservata ad iniziati); - non credo di aver inteso dire di mettere la Gioconda sotto i raggi ultravioletti, quanto di non criticare se viene mostrata in un talk show (che poi nulla toglie alla Gioconda che resterà sempre tale).
  3. Ormai ho postato. Ovviamente neanche in ciò che ho scritto io c'è nulla di personale
  4. Benissimo, verissimo. Per l'accusa di banalità non ti preoccupare, ci sono abituato. Il fatto che la musica classica sia scollata dalla società sarà una banalità, ma tu stesso lo riconosci quando dici che è un problema di educazione. Allora ci sarà un motivo per cui non si educa all'ascolto (i genitori, i soliti genitori in primo luogo)? Dipenderà tutto dal Governo, dai programmi ministeriali, dalla solita scuola? O è piuttosto un fatto sociale? Perché la musica classica viene socialmente percepita (non solo dai poveri coatti) come qualcosa di ostico, di impenetrabile senza il famoso "bagaglio culturale", senza aver avuto la fortuna di genitori colti (nel 110% dei casi musicisti essi stessi) che ti hanno abituato a frequentarla fin da piccolo? Non è anzitutto responsabilità di chi la musica classica ama e coltiva far si che non sia più percepita come una pratica esoterica? Responsabilità che non dipende dal trattare la musica come una cosa seria, dal preferire l'eleganza ai blu jeans o dal pretendere sacrosanto silenzio quando si suona, quanto nel bacchettare letteralmente qualsiasi approccio amatoriale, laico, come volgarizzazione dissacrante, trovata pubblicitaria, o nella migliore delle ipotesi come banalità. Perchè un approccio magari basso, volgare, banale, dirò di più commerciale, tutto quello che si vuole, alla musica classica dovrebbe impedire (magari in altre sedi e ad altri livelli) di coltivare la stessa musica in modo alto, ricercato, raffinato, ecc... ecc...? Perché l'idea di questo "36enne in blu jeans" dovrebbe essere contraria all'educazione all'ascolto della musica classica? Perché dovrebbe "coattizzare" ulteriormente il mondo? A proposito, chissenefrega dei coatti. Voglio essere ancor più banale: anche il più bruto dei bruti ha tutti i mezzi per godere la bellezza ma è ovvio che dipenderà sempre dalla sua scelta e il mondo sarà sempre pieno di imbecilli che scelgono il brutto indipendentemente da qualsiasi educazione. Non è che invece un (magari pessimo, commerciale, non mi interessa) Beethoven che esce (magicamente) dal televisore dei salotti qualunque può far entrare nella testa della gente la grande musica è normale, che si può ascoltare questa musica anche senza aver fatto un conservatorio? O forse non è lecito ascoltare Beethoven senza aver fatto il conservatorio?
  5. Posso dire che concordo al100%? Posso dire che la musica e' un fatto dell'uomo destinato all'uomo, e che in ogni essere umano per quanto bruto c'è tutto quello che serve per comprendere e condividere la bellezza? Posso dire che per fruire dell'arte non serve aver letto o imparato nulla, come serve casomai per farla? Posso dire che la musica d'arte troverà il proprio rinascimento solo quando uscirà dalle torri in cui si è rinchiusa smettendo di considerarsi una cosa colta per persone colte? Posso dire che i musicisti "alti" dovrebbero smettere di irritarsi perché non riescono a raggiungere le masse e pensare un po' + a come comunicare x raggiungere quelle stesse masse? Posso dire non trovo scandaloso che si usino strumenti comunicativi che magari nulla hanno a che fare con l'arte ma che sono utili a divulgare l'arte stessa? Posso dire che la divulgazione dell'arte non uccide l'arte, che possono coesistere vari livelli di ascolto e di comprensione, che suonare Beethoven in un talk show non impedisce di farlo in teatro o in chiesa, che suonarlo in jeans non impedisce di farlo in frak? Si lamentano tutti dell'incultura generale ma cosa facciamo per lottare contro l'incultura?
  6. Scusate, ho dimenticato di ringraziare Simone per la risposta molto interessante, come il post di Pianoexpert. Siccome sono tanto ignorante quanto curioso, e questo video mi ha davvero messo un tarlo, sarebbe interessante anche la riflessione di qualche esperto o cultore di generi avanguardistici, magari dello stesso Frank.
  7. Un giusto parallelismo, più che con l'urlo di Munch, credo potrebbe farsi con le tele squarciate di Fontana, dove l'artista non si accontentava più di essere "pittore", voleva anche una terza dimensione, appunto, extrapittorica.
  8. No, non intendevo dire questo. Non intendevo chiedermi se i meccanismi del fenomeno musicale impongano dei vincoli alla libertà d’espressione (se non quelli imposti dalla musica stessa). Mi sembra che Celibidache distingua, appunto, tra fenomeno “musica” e tutto ciò che, pur creando impressioni e sensazioni, musica non è. A quanto ho capito, ciò che distingue il fenomeno musicale è la stretta correlazione tra elementi sonori che, grazie alla coscienza umana (di chi suona e di chi ascolta), ed in modo ineffabile ed inspiegabile con l’intelletto, determina un movimento, crea un discorso attraverso il continuo alternarsi tra tensione e distensione, tra tutto e nulla. I suoi esempi, mi sembra, presuppongono un orizzonte tonale, dove il movimento da una tonica al quinto grado crea tensione e viceversa, dove un accordo dissonante crea tensione e uno consonante distensione, per cui, dice, sarebbe contrario alla logica musicale non rispettare queste regole. Sarei “un idiota musicale” (parole del Maestro) se concludessi una bel fraseggio mozartiano enfatizzando sguaiatamente la nota finale. Anche il discorso sull’acustica (quanto la scelta del tempo dipenda dal luogo dove si suona) e l’invettiva finale contro la registrazione (che avrebbe ucciso il suono e la musica) si basano proprio sulla necessità di essere coerenti con le caratteristiche oggettive ed universali del fenomeno musicale. Quanto alla “musica concreta”, Celibidache porta l’esempio del film horror dove l’effettistica riesce a creare una sensazione di disagio e paura (forse meglio di quanto potrebbe fare qualsiasi musica tonale), ma dice molto chiaramente che tale “fenomeno” sonoro, per lui, non è musica. Ciò semplicemente perché nella “musica concreta” manca qualsiasi punto di riferimento prettamente musicale (che nel sistema tonale è dato essenzialmente dalla tonalità madre) per cui gli eventi sonori non possono correlarsi tra loro secondo una logica, appunto, musicale ma, casomai, secondo dei riferimenti extramusicali. Quindi il discorso riguarda la relazione tra eventi sonori: a parte il ritmo, cos’è che crea relazione, movimento, tensione e distensione nella musica d’avaguardia, o concreta, o comunque la si voglia chiamare? E' sufficiente un criterio puramente concettuale, astratto, come ad esempio il ripetersi dei suoni secondo delle serie matematiche, perché possa parlarsi di musica?
  9. Non vorrei banalizzare una discussione assolutamente complessa, ma come ti poni di fronte alle considerazioni sulla musica d'avanguardia? "quando i compositori d'avanguardia cominciano a fabbricare sensazioni... fanno impressione su di noi, non c'è dubbio, ma cosa dimenticano? Che per fare della musica bisogna servirsi di quelle qualità del musicista di correlazionare elementi [sonori], non come [mera] percezione, ma dal punto di vista musicale", ciò che "vuol dire rapportarli ad un centro che si chiama tonalità madre e da quel centro discostarsi e ravvicinarsi secondo determinati criteri" anch'essi musicali. Per cui conclude: "non è vero che la musica d'avanguardia non affetta il genere umano, ma non è musica, è un fenomeno che rispecchia il dinamismo (o la mancanza di dinamismo) del nostro tempo". E' lecito sostenere, con il Maestro, che le leggi della musica abbiano un fondamento oggettivo ed assoluto e, se lo si nega, non rischiamo di ridurre tutto ad un relativismo (estetico, culturale, individuale, questo si assoluto) che impedisce di fondare qualsiasi conoscenza oggettiva del fenomeno musicale? Mentre, se lo si afferma, non sarebbe corretto smettere di chiamare "musica" l'uso artistico dei suoni che tuttavia non segue tali leggi?
  10. non potendo modificare preciso che per "sono una risorsa per l'interprete maturo" (frase ambigua) intendo che sono una risorsa se lette con spirito critico che presuppone maturità artistica.
  11. Concordo pienamente con la prima considerazione, che è esattamente il contrario del pensiero (all'epoca) espresso da Casella. Spostando in parte il discorso prendiamo l'edizione curata da Schnabel: nel primo tempo della "tempesta" si indica un preciso punto di vista sul ruolo da assegnare a mano destra e sinistra. Eppure altri grandi interpreti hanno seguito soluzioni differenti. Il problema è nel modo in cui si presenta il pensiero (da parte del revisore, ma il discorso potrebbe essere più generale). Schnabel, nell'esempio, lo fa motivando in relazione alla scrittura di Beethoven stesso; e quando altrove si richiama al proprio gusto lo dice espressamente con frasi del tipo "il revisore preferisce... al revisore non piace...". E qui dissento sulla seconda considerazione: concordo sul fatto che le revisioni, soprattutto di grandi musicisti, sono una risorsa per l'interprete maturo, e preziose testimonianze storiche. Non credo però che non debbano considerarsi rivolte anche agli allievi di pianoforte, o per lo meno agli allievi lo si dovrebbe ben spiegare, soprattutto se si tratta di giudizi espressi appunto come assoluti. Certo che all'epoca di Casella non la si pensava come oggi su molte cose. Se ne fossi stato consapevole quando, da ragazzino, lessi quella frase dopo che già avevo studiato la patetica curando bene di eseguire i mordenti in battere, forse non avrei pensato di non essere portato per la musica (ma questo è un problema mio, scusate l'outing).
  12. Stamani mi sono messo a spulciare il tubo per comparare un po' di interpretazioni di Beethoven. Ascoltando la patetica di Richter mi è venuta in mente una "glossa" delle edizioni Ricordi di Casella (peraltro nobilissimo musicista) relativa ai mordenti del secondo tema, che mi turbò' enormemente quando da ragazzo frequentavo il conservatorio annichilendo la mia autostima e contribuendo non poco al fallimento dei miei studi, dal seguente tenore: "se i mordenti non venissero eseguiti in levare... La rapidità' del tempo produrrebbe questa orribile interpretazione (segue la scrittura in terzine) la cui bruttezza non ha bisogno di essere dimostrata ai veri musicisti". Quindi secondo Casella Richter (tanto per citare lui, tra quelli che eseguono i mordenti in battere) non sarebbe stato, a differenza sua, un vero musicista. Ognuno ha diritto sacrosanto di pensare ed eseguire come vuole. Si eviti però l'intolleranza sia per rispetto altrui che per non rendersi ridicoli.
  13. Personalmente, parlando ovviamente di pezzi nuovi, vorrei conservare la freschezza che mi sembra di avere quando prendo per la prima volta in mano un brano e che invece ho l'impressione di perdere per strada, non tanto per uno studio meccanico ripetitivo (che credo di evitare in quanto tale) quanto per una sorta di assuefazione intellettuale. In genere, per quanto mi riguarda, dopo aver ragionato su gesti tecnici, agogica e fraseggio di ogni passo, e quindi aver individuato la diteggiatura più adatta, faccio una prima lettura a mani separate, soffermandomi spesso e cercando di mettere a fuoco l'effetto finale. Poi cerco prima possibile di unire mani e pedale studiando tutto il pezzo dall'inizio alla fine, sempre però alternando lo studio a mani separate e in velocità. Per i passaggi tecnicamente più complessi questo studio a mani separate lo faccio precedere o lo alterno con brevi intermezzi di esercizi inventati estemporaneamente allo scopo. Ovviamente il tempo dedicato allo studio a mani separate si riduce progressivamente e cambia scopo (sempre più interpretativo e meno tecnico). Anche nello studio a mani unite isolo spesso singole frasi, temi, passaggi o battute più che altro per memorizzare. A volte, quando mi sento, vado avanti senza girare la pagina. In realtà mi trovo sempre a mescolare le varie fasi, tornando spesso indietro un po' come raccomanda Frank, anche se poi trovo le difficoltà più grandi nel "quagliare". Altra difficoltà è il pedale. Personalmente non mi trovo bene né a studiarlo con la sinistra (ciò che mi porta ad appiattire il pedale sull'armonia e trascurare il mezzo pedale), né a riservarlo allo studio a mani unite (ciò che mi renderebbe impossibile calibrare il tocco anche nello studio a mani separate). Penso che sia importante prestare attenzione sin da subito, così come all'interpretazione, alla interazione tra le due mani ed il pedale. Per questo cerco sempre di mescolare lo studio a mani separate e a mani unite (in entrambi i casi con il pedale). Penso anch'io che l'impossibilità di ascoltarci mentre suoniamo renda indispensabile il registratore. D'altra parte penso anche che il registratore non elimina del tutto la mancanza di obbiettività nei nostri confronti e, se non usato "cum grano salis", può causare danni psicologici anche irrimediabili visto che spirito e autostima sono fondamentali per un musicista. Per questo sarebbe fondamentale (almeno prima di aver assimilato il pezzo) usare il registratore fuggendo l'eccesso di autocritica (il che è anche contraddittorio visto che senza autocritica non c'è progresso). Un mio metodo non l'ho mai trovato (per questo scrivo), e concordo con Marta quando dice che non esiste "un" metodo ma diversi metodi per diverse esigenze. Vi ringrazio per i vostri gli interventi che condivido e ho trovato molto interessanti.
  14. ovvero, come si arriva dalla prima lettura al concerto? Penso che alla fine ognuno debba trovare il suo metodo migliore. Mi piacerebbe conoscere esperienze e punti di vista.
  15. Bellissima la "tecnica del cazzotto". Visto come compensa la leggerezza del corpo e la piccolezza della mano? I bambini sono incredibili: non si pongono il problema della postura, hanno in mente il risultato e il corpo li segue con spontanea naturalezza.
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